gli
animatori lo hanno visto così : BENE
COSI’-COSI’
MALE
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VICKY CRISTINA BARCELONA |
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DOM pom |
DOM sera |
MAR |
MER |
GIO |
VEN |
SAB |
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precedenti
roberta
braccio |
domenica
pomeriggio |
Ma dov’è finito il caos, la “pura anarchia” (per
citare l’ultima sua raccolta |
giulio
martini |
domenica
sera |
Film cine-turistico su commissione, con cui il
pallido ed emaciato Woody, abbronzandosi al sole della Catalogna,
fa di tutto per inebriarsi degli umori e per abbuffarsi di sapori
mediterranei, ma per filosofeggiare, come al solito, sull' inevitabilità dell'amore
e sulla sua sull'impossibilità ad essere - secondo lui -
limpido ed eterno. Quasi una confessione pubblica al limite
dell'autodifesa, girata con agilità, il consueto acume e sparse
attute folgoranti a mo' di spezie. |
angelo sabbadini |
martedì
sera |
L'instancabile Woody Allen riprende il suo
grand tour da Barcellona e con sguardo vedutista intreccia una commedia dal
sapore vacanziero sulle instabilità affettive di un manipolo di personaggi
non sempre credibili. Le battute memorabili latitano ma il filmettino è di
immediata piacevolezza e di consumato mestiere |
carlo
caspani |
mercoledì
sera |
Allen in vacanza, finanziato dalla Municipalidad di Barcellona, e
si |
marco
massara |
giovedì
sera |
Una moderna classificazione dei
personaggi utilizza la figura del ‘mago’, inteso come colui che ha
una profondissima empatia con la situazione nella quale è immerso; egli
‘annusa’ il mondo, non ha bisogno di capirlo. Woody usa in questo modo il personaggio
di Juan Antonio (il versatilissimo Javier Bardem – peccato che sembri
doppiato da José Murinho…) che subito ‘fiuta’ Vicky e
Cristina e ne rivela le aspirazioni reali e le relative contraddizioni di
comportamento, mentre Juan Antonio è ‘fiutato’ nella stessa
maniera da Maria . Il film si articola
su una serie di momenti di ‘illuminazione’ in cui i personaggi
diventano trasparenti ed il mago legge dentro di loro, quando addirittura non
fa ‘risuonare’ ,come la cassa della chitarra, i loro desideri e talenti latenti. Il tutto è impastato nello sfondo puramente
strumentale della ambientazione spagnola (Woody rischia spesso di cadere nel
didascalico illustrativo ed un po’ esagera con la voce narrante fuori
campo con la quale bisogna sempre andare piano) che serve soltanto per legare
con un percorso di narrazione le ‘illuminazioni’. Queste però non
durano per sempre - Vicky uscirà dalla vicenda portando con se una simbolica
ferita di striscio - e qualcuno (Dough
e Mark (ahi!)) non ne viene
neppure sfiorato. Woody ci invita a guardare
dentro noi stessi attraverso gli altri e a saperne ricevere la giusta
‘illuminazione’ e rivelare (non per niente c’è una camera
oscura!) il nostro autentico modello di felicità. E nell’ultimo
‘Basta che funzioni’ questo invito trova una convincente
continuità. (scusate la lunghezza !) |
giorgio
brambilla |
venerdì
sera |
Quando Vicky e Juan Antonio vanno a trovare il padre di
quest'ultimo, lei dichiara di capire il fatto che il poeta non voglia
imparare altre lingue, per quello che “si perde nella
traduzione”. Pare chiaro il riferimento a Lost in Translation di
Sofia Coppola, anche per il tentativo di Vicky Cristina Barcelona di
innestare il dramma nella commedia. Il risultato però non è all'altezza. Se
la brava regista italoamericana riusciva infatti a evidenziare lo
straniamento e l'isolamento dei due personaggi in un Giappone nel quale erano
un po' come marziani, Allen non supporta adeguatamente dal punto di vista
formale la classica idea dell'impossibilità ad essere felici sia abbandonadosi a sperimentazioni ardite, sia
ricercando una vita “strutturata”. La voce narrante, funzionale
in una semplice commedia, appare qui didascalica e non intonata. I personaggi
non hanno lo spessore necessario per
portare avanti la narrazione in modo convincente: meno Maria Elena, eccessiva
e passionale, soprattutto Cristina, turista anche dell'amore. Sono tutte
brave persone, molto corrette e disponibili le une con le altre. Peccato solo
che abbiano una personalità modesta, come il film. |
francesco
rizzo |
sabato
sera |
all'età di 31 anni,
desideroso di vivere da persona comune ("e far la fila per le
bollette", dirà), michel platini abbandonò la juventus e il
calcio giocato. forse pensava di non poter più dipingere football e declinò
persino un'offerta del marsiglia, che lo avrebbe coperto d'oro anche se
avesse disputato soltanto le partite interne. e così, agli appassionati,
rimasero solo le immagini più belle della sua carriera. io ricordo un gol in
pallonetto, ma di tacco, contro l'ascoli, una punizione beffarda contro
la roma, il suo corpo disteso sul prato di tokyo, in una posa da re
sole scocciato, dopo una rete negata in una finale di intercontinentale.
perchè i più grandi devono fermarsi quando di loro possa restare giusto il
meglio. sfortunatamente, woody allen non conosce la storia di michel platini. |