gli animatori lo hanno visto così :    BENE

                                                       COSI’-COSI’

                                                       MALE                                                  

 

GLI AMICI DEL BAR MARGHERITA

 

 

DOM

pom

DOM

sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

 

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giulio martini

domenica pomeriggio

vedi sotto

giulio martini

domenica sera

Secondo alcuni filologi il nome "Italiani" deriva da un antivo " V-italoi " cioè  "adoratori dei Vitelli".  probabilmente è vero, siamo un popolo di scansafatiche, di perditempo, dispersivo ma soprattutto assiduo frequentatore di quella strana istituzione italica - diversa dai Pub inglesi o  dalle Birrerie  tedesche - che è il luogo maschile per eccellenza dei fannulloni e degli orditori di scherzi, cioè il bar.

Si vedano a riguardo o il  Germi di "Signore e signori" o "Quei bravi ragazzi" di Scorsese.

Eppure qui c'è soprattutto l'anima emiliano-romagnola ( già strabocchevole in Fellini) del bolognese  Avati, il quale  al solito fa sempre tutto in versione mignon rispetto al maestro di Rimini. 

Tuttavia, nonostante qualche limite nel ritmo, come ripete lo stesso Abatantuono nel film, la sua ennesima storia nostalgica d'assieme nel suo piccolo, senza ideologie e senza tragedie, non è poi male.

angelo sabbadini

martedì sera

Il prolifico Pupi Avati solleva dopo cinquant'anni la saracinesca del bar Margherita e chiama a raccolta gli sghembi avventori dello storico bar bolognese. Le cialtronesche figurine sono però ampiamente scontate nelle loro eccentricità e poco aggiungono al risaputo ritratto dell'Italietta dei tempi che furono.

carlo caspani

mercoledì sera

Pupi Avati (vien da dire "il solito Avati") con un'altra puntata di  ricordi personali venati di nostalgia e di piccole ossessioni (quelle  feste col grammofono e i vestiti a palloncino delle ragazze...)
Manca sempre qualcosa, però, nella forma (sembrano sempre un po'  tirati là, i suoi film) e nella sostanza: Amarcord, Amici miei? No,  qui siamo dalle parti dei fotoalbum di Facebook...

marco massara

giovedì sera

Non esiste una legge che impone di fare un film all’anno, tuttavia Pupi Avati non sa rinunciare a sfornare anche quando l’ispirazione latita….. (anche se nella mia modestissima esperienza di film-maker wHp so benissimo che il fascino del set è qualcosa a cui resistere è difficile).

I personaggi (meglio i ‘tipi’) frequentatori del bar Margherita si muovono con troppa prevedibilità e, verso il finale,  con qualche nota eccessivamente greve . Anche la patina di “nostalgia”, così caratteristica nel cinema avatiano (avatar degli anni ’50?) sembra ripiegarsi su se stessa senza nessuna speranza di apertura al nuovo. “Al bar Margherita succedono sempre le stesse cose” dice Taddeo nel finale e lo spettatore è costretto ad inserire il ‘pilota automatico’ e ad assistere passivamene a vicende in cui manca qualsiasi forma di conflitto, il vero motore di ogni azione drammaturgica. C’è solo la burla.

Non basta una eccellente ricostruzione d’ambiente, costumi e trovarobato, né i bravi e collaudati attori (esclusa Laura Chiatti, ‘paracarro’ di bella presenza scenica) a salvare un’opera che sembra proprio un compitino svolto per onore di calendario.

giorgio brambilla

venerdì sera

Per me che sono un fan di Pupi avati è sempre un piacere ritrovare storie sincere raccontate con adeguato cinismo. Molto meno gradevole è dover sorbire una sceneggiatura un po' approssimativa, con personaggi poco consistenti e  promesse non mantenute: che ne è, ad es.,  di tutte le “penne” conquistate degli amici? È vero che “forse esistono e forse no”, ma noi non ne vediamo neanche una. Anche la srtoria dell'innamoramento di Taddeo/Coso non pare sviluppato come si deve. L'impressione è che si debba far ricorso all'invasiva voce narrante perchè la storia da sola non si regge. Ci si diverte guardando gli amici del bar Margherita, ma quando le luci si riaccendono resta pochino.