gli animatori lo hanno visto così : BENE QUASI BENE COSI’-COSI’ COSI'-COSI'-COSI'
MALE
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LA GRANDE BELLEZZA |
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DOM pom |
DOM sera |
MAR |
MER |
GIO |
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dei film precedenti
matteo mazza |
domenica
pomeriggio |
Film sulla morte, sullo sporco,
sul viscido, sul brutto, cioè film di Sorrentino (è dal suo esordio che lo
suggerisce, lo mette in scena, lo urla, lo scrive...insomma, non è questo un
film-novità!). E allora, più che guardare a Roma, più che guardare a
Fellini, più che cercare di scovare dentro a festini e trenini e botulini e
spogliarellini qualche vana dimensione sociologica similtelevisiva degna del
miglior contenitore perditempo del miglior palinsesto televisivo che si erge
a decretare il senso dei tempi presenti, allora, forse, sarebbe meglio
guardare a quello che per Sorrentino sembra essere diventato punto focale di
uno sguardo sul mondo: la nostalgia. Gep, alla fine, sprofonda nella
nostalgia di un ricordo lontano. La bellezza, oggi, secondo Sorrentino e Gep
non c'è più, è soltanto amarezza. Ecco, partendo da qui, proprio dal finale, nonostante il film possieda alcuni momenti indimenticabili e veri (la scena in piscina con la Ferilli nel canotto su tutte), mi sorge una domanda: ma lo sguardo di Sorrentino è sincero? |
giulio martini |
domenica sera |
Geniale rivistazione post-felliniana della Urbe da parte di un napoletano verace, il quale al motto estetico partenopeo ("Vedi Napoli e poi...") sostituisce fin dall'inizio quelloi politico di Garibaldi ( "O Roma o Morte!" ), ma per capovolgerne il senso in modo grottesco. Sicchè il film diventa una variante morale della Sindrome di Stendhal, una trionfale marcia funebre sullo sfondo della sconvolgente bellezza di Roma. Una vorticosa sarabanda dentro l' immensa bruttezza etica in cui si crogiolano i romani: disgustosi zombi nell'immeritato patrimonio di Arte eterna che i secoli hanno lasciato loro tutt'attorno. Andranno tutti all'Inferno ? Perchè non sembra esserci esorcismo che tenga nei confronti di questi assatanati, di questi appestati dalla vanagloria, maniaci del sesso, rigonfi di vanità e di iniezioni di butolino. Forse se la caverà la suorina simil Madre Teresa, cadaverica penitente. Forse non si danneranno i rari bambini, spesso vestiti di bianco, se però possono giocare senza essere risucchiati da adulti perversi verso un'Arte fasulla. Sulfureo, feroce ed sontuoso il film nel suo girovagare a vuoto è - all'apparenza - ultranichilista. Eppure nel viaggio al termine delle notti capitoline di Gep Gambardella qualche briciolo di aurora si intravvede. Se il libro lo scriverà è perchè può "riemergere" anche all'ultimo momento nell'acqua pulita, schivando un pericolo mortale sovrastante e un affogamento quasi garantito. Per far questo il talisma è recuperare alla memoria l'unico spogliarello non osceno del film ? E grazie ad esso riscoprire il senso ora perduto di una bellezza autentica che ancora può salvarlo e salvarci ? Vedremo nel suo prossimo film ... Qui intanto bravi tutti: attori, co-sceneggiatore, scenografi e soprattutto lui Sorrentino, che azzecca pure le musiche, rielaborate in canoni post-moderni dall'antiche melodie liturgiche dell'ortodossia russa |
angelo sabbadini |
martedì sera |
Roma! Ancora lei vista attraverso il filtro deformante del cinema e della letteratura da un regista bulimico che ha il coraggio di abbandonare il cinema narrativo per avventurarsi in una narrazione frantumata basata sull’accumulazione. Ma Sorrentino fornisce ai volonterosi spettatori del Bazin tutte le piste per seguire i suoi vagabondaggi estetici: a cominciare dal coautore Fellini (ovviamente rivisitato, riletto e rigenerato) fino ai continui ammiccamenti meta cinematografici. Il risultato per chi ha voglia d’inseguire il regista napoletano è d’indubbio interesse nonostante qualche momento di appannamento e stanchezza. |
carlo caspani |
mercoledì sera |
Sorrentino è grande e Toni 'Jep
Gambardella' Servillo è il suo profeta. Meritatamente multipremiato,
barocco, verboso, visualmente sofisticato, commovente, sarcastico, critico,
sognante, realistico, esagerato, minimale, spietato, intimo, romantico,
elegante, romano, universale. Personalmente lo considero il miglior film
dell'Italia di questi anni: tra mezzo secolo, se si parlerà ancora di cinema
come facciamo noi adesso, lo si definirà La Dolce Vita del 2010 e dintorni.
Dal Pantheon del Cinema, Federico sorride e approva, Luca Bigazzi fuori classifica per manifesta superiorità, come sempre. |
marco massara |
giovedì sera |
questa settimana marco è stato sostituito da giorgio...ma non rinuncia a dire la sua....fuori classifica! |
giorgio brambilla | venerdì sera | La grande bellezza è un film barocco, che mette in evidenza il meccanismo del racconto e, contemporaneamente, mostra la condizione di Roma e dell'Italia (e dell'Occidente) nel tempo dell'assenza della Bellezza con la “B” maiuscola. La città eterna non è più un ideale da inseguire, come nel Risorgimento, né un luogo reso magnifico dai potenti di turno. I suoi monumenti racchiudono una bellezza senza tempo, ma oggi sono ridotti, se va bene, a luoghi di turismo o musei, testimonianza nostalgica del passato come quei reperti archeologici viventi che ancora ne abitano alcuni. Gep Gambardella, alter ego simultaneamente del regista e dello spettatore, passa quarant'anni senza più scrivere un romanzo perchè pensa che il mondo che lo circonda sia il nulla, contrassegnato da un'umanità e una cultura miserabili e al meglio da una fede, incarnata nella Santa, che non comprende. Però impara a valorizzare i nascosti frammenti di bellezza che ci sono, tanto da andare in pellegrinaggio sul teatro della sua grande, ancorché immotivatamente abortita, storia d'amore. Lì decide che, anche se Dio è morto (e l'uomo, allenianamente, non si sente troppo bene), ha ancora senso scrivere un romanzo che, come in 8 1/2 di Fellini, è poi il film che abbiamo appena visto. Sorrentino si esibisce in un'opera estetizzante e magniloquente, ma se lo può permettere |
marco massara | fuori classifica |
Paolo Sorrentino, uno degli autori
più interessanti del nostro cinema, realizza un film inconsueto per
ricchezza di struttura e profondità di espressione. Utilizza Roma come
personaggio esplicito, innestando su di essa il percorso di ricerca di una
bellezza ed armonia che il protagonista non riesce a concludere se non con
un ritorno alle origini. Il pregio del film è appunto la capacità di far
condividere la struttura ad affresco,ovvero la descrizione della decadenza
morale e materiale, con il percorso narrativo di Jep Gambardella che, grazie
a questo meccanismo drammaturgico, diventa il polo magnetico che permette il
dipanarsi logico della sceneggiatura. La facile strada della similitudine
con il Fellini della ‘Dolce vita’ non porta lontano: troppe le differenze
temporali ed il quadro della società rappresentata. Purtroppo va detto che ,
specie nella parte finale, il film pecca di manierismo e di un eccesso di
ridondanza verso il grottesco….; anche i nostri autori più seri (vedi
Tornatore) mostrano difficoltà a tenere pienamente il controllo sulle loro
opere. Peraltro "chi non fa niente non sbaglia mai"...... p.s. onore e gloria a Luca Bigazzi - immenso direttore della fotografia!
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