gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            MALE

                                                

MIRACOLO A LE HAVRE

 

 

DOM pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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roberta braccio

domenica pomeriggio

Per conoscere le persone, basta guardare le scarpe che indossano” diceva
qualcuno. Il film inizia proprio con lo sguardo del protagonista puntato sulle
scarpe, a selezionare tra tante sneakers i pochi possibili clienti. Poi ecco la filosofia spiccia di chi non si fa illusioni e una grande prova di cinema: in una sola scena si ritorna ai vecchi gialli. Un gioco di sguardi mentre ignaro il lustrascarpe fa il suo lavoro, il cliente paga e subito dopo viene freddato. Panico tra la folla. “Per fortuna aveva già pagato” : perché siamo in
un film di Kaurismaki e la vita è assurda, non c’è spazio per le illusioni. Le
havre (uso il titolo originale perché nel quartiere di Kaurismaki i miracoli
non esistono) è a mio avviso splendido. Commovente, essenziale e definitivo,
questo film non è né una fiaba né un miracolo. Etica e pietas sono due parole
vecchie - come il Quo vadis? che il protagonista dice al bambino - ma
attraverso cui si legge il mondo. Il regista sbeffeggia i politici e si
diverte a fare una smorfia ai preti: il suo villaggio è fatto di persone che
parlano poco ma che agiscono, che reagiscono con il cuore e con buon senso. A persone così la vita, regala a volte qualche sorpresa incredibile.

giulio martini

domenica sera

 in uno stile "finto geldo", con improvvise vapate di emozioni, Kaurismaki organizza una congiura di innocenti per una tesi tenera e gentile, anarchico/ religiosa , favorevole alla trasgressione in nome della solidarietà.
Vecchi sciuscià si alleano a marginali trasognati, a bottegai angelicati, ripresi in rigorose inquadrature fisse, quasi da cinema muto, con gesti sobrii e pudichi alla Bresson. Di suo in più : coloriture pop, mix di musiche improbabili e battute surreli, mistiche e feroci sempre al limite del non sense. Finale deliziosamente ottimistico, a metà tra "Ordet" e "Miracolo a Milano".

angelo sabbadini

martedì sera

Si può parlare delle tragedie del presente utilizzando il linguaggio del cinema degli anni Trenta? Il quesito intriga i visionari del Bazin che, pur con qualche significativo e motivato dissenso, non hanno incertezze a riconoscere nella scelta di Aki Kaurismaki una coerente scelta di stile che suona come una sconfessione etica ed estetica delle modalità espressive e delle costumanze del cinema dei nostri giorni.

giorgio brambilla

mercoledì sera

Sarà perché io sono un ultras di Aki Kaurismaki, ma trovo che il vero miracolo sia proprio questo film. Il regista finlandese parte da un tema di scottante attualità per raccontarci una storia di solidarietà tra sottoproletari, che abitano una Le Havre uscita dai polar degli anni '50 e '60, contrapposta a un potere senza volto tecnologicamente evoluto. Togliendo ogni invito ad un facile sentimentalismo attraverso una recitazione e una tecnica cinematografica ridotte all'osso, parla direttamente al nostro cuore, toccandolo in profondità. Il realismo manca completamente, come si premurano di mostrarci inequivocabilmente i tre miracoli finali (la partenza di Idrissa, la risurezione di Arletty ed il ciliegio in fiore), ma i legami che intercorrono tra questi emarginati sono più solidi e reali che mai. Questo perché talvolta il miglior modo di dire una verità ingombrante è di farlo attraverso una favola, anche se difficilmente se ne vede una così piena di grazia

marco massara

giovedì sera

Una  vicenda che apre il cuore alla speranza, ma che alcuni  intelligenti ‘straniamenti ‘(cromatici, musicali e di ambientazione) connotano con un tono favolistico. Forse che in una delle più brutte città di Francia, terra di  traffici di uomini e valigette piene di grisby , per trovare un microcosmo di solidarietà e generosità bisogna tingere le pareti di casa color pastello e far arrivare un poliziotto nerovestito e di nome Monet (!) ‘con un punto sensibile nel cuore’ su una vecchia Renault 16  del 1965 ? L’importante è che ci sia sempre un Marcel (Carné) Marx (Karl o Harpo ?) capace di non restare indifferente alla immagine davvero horror di Idrissa immerso ben sopra la cintola nelle luride acque del ‘Porto delle nebbie’.

carlo caspani venerdì sera Triplo miracolo a Le Havre: una guarigione dal cancro (banale e buonista per qualcuno), un film che parla di solidarietà, calore umano, prendere le parti degli ultimi e dei clandestini (anche se sembrano valori che andavano "di moda" in un passato ben descritto dalla collocazione d'epoca dei personaggi), un Kaurismaki più cinefilo che mai che rivendica il diritto/dovere di un lieto fine. Marx e vivo e lotta insieme a noi, ma si chiama Marcel (come Carné) ed è sposato  ad Arletty!