gli
animatori lo hanno visto così :
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L’OSPITE INATTESO |
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DOM pom |
DOM sera |
MAR |
MER |
GIO |
VEN |
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precedenti
riccardo
moretti |
domenica
pomeriggio |
Gli Stati Uniti, paese che ha l'immigrazione iscritta nel proprio
DNA, dimostra di vivere questo complesso fenomeno sociale ancora come un forte
problema: aggravato tanto più dal pesante clima di sospetto e terrore
provocato dagli attentati terroristici. L'ospite inatteso riesce a parlarci |
giulio
martini |
domenica
sera |
Film gentile,quieto e cordiale, che scatena una
sana rabbia civile - proprio per il "tono" che mantiene e per
la semplicità delle riprese - affrontando il tema sociale più
bruciante del momento, cioè l'immigrazione e il mix delle culture ( qui
soprattutto musica + cucina). Mostra che l'esperienza diretta e l'empatia
valgono molto più di mille studi universitari sulla globalizzazione e
all'opposto che l'insidia dell' "altro perturbante" è un pericolo
micidiale sempre in agguato ( quanti neri intolleranti in questo film...)
anche per chi - come gli States - pensa di aver sconfitto da tempo il
razzismo. |
angelo
sabbadini |
martedì
sera |
Ecco un'altra, necessaria storia che parla d'immigrazione:
quella di chi ha lasciato il paese d'origine e quella interiore di chi è
straniero a sé stesso. Ma la novità sta nell'approccio del regista Tom
McCarthy che accantona i toni requisitori e punta a valorizzare l'umanità dei
personaggi. A cominciare da quella del desolato prof. Walter Vale che scopre
il valore salvifico della compassione. Bel film, ambientato in una New York
autunnale e scaldato dal ritmo del djembe. |
carlo
caspani |
mercoledì
sera |
Il professor Vale trova nel suo appartamento di New York, un
siriano e un’africana: e qui si dimostra come, in casi del genere,
invece di chiamare la polizia, è più utile dimostrarsi ospitali e imparare a
suonare il tamburo africano. |
marco
massara |
giovedì
sera |
Non è mai troppo tardi per accorgersi che si sta suonando lo
strumento sbagliato, né per cambiare
occhiali e vedere il mondo diverso da un arido deserto riflesso anche dal
salvaschermo del computer. Piuttosto è l’America del 2007 che deve cambiare
occhiali e prospettiva: il sogno americano è sempre più sbiadito come la
bandiera del sottofinale (“qui è come in Siria”sbotta Mouna) e
chi è ‘dentro (l’avvocato di evidenti origini mediorientali che
dice di venire “da Queens”) tratta con sospetto e sopruso chi è
‘fuori’. Dopo una vita da splendido mediano Richard Jenkins (lo abbiamo
visto in molti film dei Cohen e in
decine di altre parti da caratterista)
ha qui la grande opportunità per una superba prestazione da
protagonista,ma non rinuncia al suo stile, recitando soprattutto con la
postura e un quanto mai comunicativo under-statement . E
lascia ad uno come è stato lui l’ultima inquadratura: quella comparsa
con l’impermeabile che guarda tra l’infastidito e
l’incuriosito quel bianco che suona un ‘bongo’ tra tre
negri nella stazione del metrò di Lafayette (!) square. -
Waiting for Obama |
giorgio
brambilla |
venerdì
sera |
L'ospite inatteso propone una critica
efficace alla politica dell'immigrazione dell'America spaventata dall'11
settembre, che tratta tutti i clandestini come potenziali nemici e nega loro
diritti elementari. Invita lo spettatore a gridare lo stesso sdegno di Walter
(un bravissimo Richard Jenkins) di fronte al viso ottuso della guardia
carceraria: se lì non è “come in Siria”, come dice sconfortata
Mouna, pare che poco ci manchi . Il regista ha saputo scegliere uno stile
asciutto, che nulla concede al banale sentimentalismo. Però poteva osare di più: è troppo facile
dire che non bisogna angariare i
musicisti simpatici e di talento, il cui unico gesto davvero illegale
è stato commesso dalla madre! E gli altri immigrati? Quelli magari un po'
ignoranti e antipatici, che fanno lavori non qualificati, hanno idee davvero
diverse dalle nostre e magari trattano male la moglie? |