gli animatori lo hanno visto così :    BENE

                                                       COSI’-COSI’

                                                       MALE                                                   

 

 

 

QUESTIONE DI CUORE

 

 

 

 

DOM

pom

 

DOM

sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

 

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roberta braccio

domenica pomeriggio

Eppure tutto questo cuore non mi convince. Sentimenti delicati, battute
spontanee, interpretazioni ottime. Ma ho trovato in queste emozioni un odore di confezionato, di costruito a tavolino.

 In questa questione di cuore, che inizia come finisce, si parla di morte, di malattia (oltre a davvero troppi argomenti, un altro – a mio avviso – difetto del film): “che schifo!”, urla Alberto esasperato e sincero vedendo la signora in ospedale, Angelo invece si allontana in barca, racconta la storia di Alberto - e pure il film. Potere dalla narrazione, certo, ma allora la vita resta forse un’altra questione.

giulio martini

domenica sera

La fragilità della vita ( adolescenziale o  adulta ) sta al centro  delle accorate inchieste che Francesca Archibugi  fa sempre, fin dal primo bel film.

Qui l'inevitabilità della DOMANDE sulla Vita coincide perfettamente con le esigenze professionali dello strano suo mestiere ( sceneggiatrice - regista  alias  Antonio Albanese ) perchè stanno  consapevolmente all' l'inizio di ogni e qualsiasi tipo di racconto, di ogni e qualsiasi narrazione, come spiega nella scena conclusiva.

Infatti, secondo lei, solo inforcando  le opportune "ottiche narrative " chi vuole e/o  sa raccontare  può  trasformare  le  DOMANDE sulla Vita  ( dal punto di vista filosofico   tutte senza risposta )  in spunti e occasioni per vedere in modo diverso quanto ci circonda, fino addirittura ad arrivare a condividere  - almeno in parte - l' esperienza altrui, ripercorrendola e facendola così propria.

E anche insolito se  questo  procedimento di racconto /solidarietà è particolarmente difficile avendoa che fare con Roma e i romani  - oggetti cinematografici troppo sfruttati e non sempre  gradevoli - l'Archibugi  riesce con il suo stile originale a farceli sentire, nella  quotidianaità,  insolitamente ...vicini e simpatici

angelo sabbadini

martedì sera

Da tempo si sussurra che il cinema della Archibugi sia infartuato e abbia perso smalto ed originalità. L'ultima fatica conferma l'assunto e se ci regala due perfomance attoriali di rilievo, grazie ad Albanese e Rossi Stuart, sembra mancare di un baricentro, di un punto di vista illuminante e chiarificatore. Mignon è proprio partita e lo sguardo della brava regista romana rimane in convalescenza.

carlo caspani

mercoledì sera

"Battono insieme i cuori malati di Angelino e Alberto in questa bella 
prova della Archibugi, tra luoghi sacri del cinema italiano di un 
tempo (Il Pigneto di Pasolini): c'è un modo, se c'è, di raccontare 
l'Italia di adesso, tra sceneggiatori, meccanici e gente che spara ai 
gabbiani? Questa è la domanda."

marco massara

giovedì sera

Francesca Archibugi predica bene, ma razzola male.   Con il personaggio di Alberto, utilizzando la bella idea degli occhiali-filtro, trasmette al fertile Ayrton le regole del buon sceneggiatore che “guarda le facce e vede le storie”e che soprattutto si pone la domanda sulla consistenza di ciò che sta sviluppando. Peccato che poi la sua sceneggiatura impoverisca la buona trovata originaria annacquandosi in spezzoni  non ben definiti (il conflitto tra Perla e la sua famiglia, la crisi tra Carla ed Alberto con tanto di flash-back teatrale), in personaggi abbozzati e sospesi (l’infermiera a cavallo tra il materno e l’erotico) e in svolte drammaturgiche imbarazzanti (l’irruzione della GdF miracolosamente placcata dal patetico avvocato Paolo Villaggio) , lasciando banalmente sullo sfondo alcuni cenni sulla ‘evoluzione’ della società italiana (i bulli di strada in odore di razzismo.)

Non bastano le buone interpretazione degli attori, né gli spiritosi ‘camei’ della gente di cinema , né l’acrobazia finale di proporre al pubblico l’unica domanda a cui non vale la pena di rispondere: siamo lontani dal buon cinema e pericolosamente vicini alla devastante estetica delle fiction televisive  -  A ridateje Pasolini !

giorgio brambilla

venerdì sera

Questione di cuore convince abbastanza sia quando racconta il profondo legame che nasce tra Alberto e Angelo e le rispettive famiglie, sia quando dichiara la propria poetica mostrando come la storia raccontata nasca “neorealisticamente” dalla vita interrogata con lo sguardo giusto. Funzionano poco invece alcuni momenti sopra le righe, in particolare dei volti noti del cinema italiano, e le osservazioni sociologiche “buttate lì” (cfr. spaesamento, teppisti e accertamenti fiscali). Nell'insieme un film discreto.

francesco rizzo

nota critica

svincolata dalla

proiezione del

sabato che non

era stata ancora attivata

non è l'amicizia maschile, non è la malattia, non è la famiglia allargata il meglio di questo film. ma, piuttosto, la riflessione sul potere del raccontare, condotta attraverso il personaggio dello sceneggiatore (antonio albanese) e collegata in un cerchio ideale tra inizio e fine della pellicola. ovvero: la capacità di osservare (gli occhiali regalati al ragazzino), di porsi domande sulla realtà tutt'intorno e trovare - o inventare - risposte diventa un generatore di storie che non esorcizzano paure e drammi ma aiutano a scavalcare la notte. e a capire che la vita ha un lato magico, imprevedibile, pieno di sorprese e sfumature.