gli animatori lo hanno visto così :         BENE

                                                            COSI’-COSI’

                                                            MALE

                                                

REALITY

 

 

DOM pom

DOM sera

MAR

MER

GIO

VEN

 

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roberta braccio

domenica pomeriggio

Tutto troppo per essere reale. Garrone continua la sua lucida analisi delle ossessioni, non solo sull'essere/apparire, ma anche - e forse soprattutto - sulla filosofia dell'occasione da acchiappare a tutti i costi. Sia questo un robottino, dei mobili regalati o un posto nel programma. Soffriamo tutti di questa ossessione per cui la fortuna arriva una volta sola (se arriva) e bisogna pertanto fare di tutto per non perdersela, l'intuizione dunque sarebbe stata ottima. Purtroppo il regista si perde su troppi dettagli, su troppi fili narrativi, in troppi piccoli personaggi anche minori. Distratto e affascinato dal circo umano che lo circonda, il film diventa talmente calorico da stufare il palato, una sorta di foga all'abbuffata da cui poi, inspiegabilmente, persino lo sguardo del regista prende le distanze. C'è in effetti un po' di quel sentimento snob di chi guarda i reality "di nascosto", vergognandosi di non cambiare canale, quando per esempio la macchina da presa si ferma sulla scritta Cinecittà mentre gli aspiranti concorrenti sono in fila per il provino, eppure questo distacco è un giudizio, che dunque mette distanza tra la storia e il pubblico. la morale? si liquida il film con un'alzata di spalle " io di certo non sono così". Dove è finito quel senso di sano malessere che avevo alla fine de l'imbalsamatore e di Primo amore?

giulio martini

domenica sera

Tra angeli  televisivi che volano, statue di santi che vengono portate via, devote che sono strappate al rosario, si dipana  la Via crucis  - secolarizzata  - del protagonista. Le  "stazioni"  qui   contemplate  e fatte contemplare Garrone da sono  i  tanti anonimi non-luoghi della modernità traslucida e fosforescente ( ... la Location  del mega  matrimonio, il Supermercato, Cinecittà,        l' Acquapark , la Discoteca ). E il truffatore / truffato si  tormenta e patisce - con un pizzico di masochismo -  fino  alla  estasi dell Studio TV, perchè quanto più è catturato dalla mistica del tubo catodico tanto più  diventa è l'uomo e dei "dolori" per sè e  la sua famiglia.  Girato con gusto  circense-funereo, il film è la disperata commiserazione di un povero cristo che nel miraggio di  poter lasciare l'anonimato  del popolino si  eccitta nella  visione beata del "paradiso"  dai  format elettronici.

angelo sabbadini

martedì sera

questa settimana angelo è stato sostituito da carlo

carlo caspani

mercoledì sera 

Garrone con una commedia italiana (finalmente) del XXI secolo: un po' 
favola, un po' affresco iperrealista, più dettagliato e ricco del 
mondo che ritrae, e per questo efficacissimo nel raccontare questa 
Italia (non solo Napoli, teatro barocco e perfetto in cui muovere i 
personaggi) che con la televisione sprofonda nel kitsch e nel brutto: 
ma da dove, se non dal "reale" quotidiano, prende spunto questa TV che 
ottunde e stravolge? Il quarto d'ora finale, da questo punto di vista, 
agghiaccia.

fabio de girolamo

giovedì sera

Per parlare dell’ambiguo rapporto tra realtà e finzione nei mass media attuali Garrone va in due direzioni. Da una parte è concentrato sul mezzo, sulla televisione, per constatare come agli occhi di Luciano l’occhio della telecamera è diventato ubiquo. Si è trasformato in occhio di Dio, che tutto vede e tutto giudica, che stabilisce chi è degno e chi no di entrare nel “paradiso” televisivo. Naturalmente senza avere un “decalogo”, un criterio di giudizio affinché ciascuno possa capire di avere o no le carte in regola.
Dall’altra si concentra sul protagonista. Per partecipare al Grande Fratello gli si chiede di essere se stesso, ma nel contempo ambiguamente lo si giudica in base a principi prestabiliti e imperscrutabili. Luciano si trova a vivere in un mondo in cui non è più possibile distinguere fra realtà e finzione e in cui non è dato di conoscere le regole del gioco. Procede a uno svuotamento di sé e a una trasformazione in personaggio. A questo punto non gli resta altro luogo dove vivere se non un set. Garrone, col piano sequenza finale, osserva che questo luogo, lungi dall’essere al centro dello sguardo di tutti, è insignificante, un puntino bianco immerso nel nero di uno schermo vuoto.
giorgio brambilla venerdì sera È davvero nella prima e nell'ultima inquadratura tutto il senso del film: la macchina da presa scende dal cielo ad inseguire una carrozza assolutamente finta e kitsch, come il mondo nel quale Luciano desidera con tutto se stesso inserirsi al punto che, quando alla fine la macchina ritorna lassù da dove era venuta, lo vediamo sorridere davvero felice, perchè ha raggiunto l'obiettivo che davvero gli preme. In mezzo Garrone tallona il protagonista inquadrandolo con piani ravvicinati, riducendo il mondo a semplice sfondo, spesso sfocato, perché visto dalla sua soggettività paranoica. È il ritratto impietoso e inquietante di un uomo che vive in un'epoca in cui televisione e realtà si confondono fino a creare quell'aberrante reality dai confini indefiniti nel quale siamo costretti a vivere,dove una persona qualunque come Enzo è considerato un semidio. Questo non è ovviamente il primo film sull'argomento e nella parte centrale sembra girare un po' a vuoto, ma la ricchezza visiva e la lucidità del discorso svolto ne fanno un'opera degna di nota
     
marco massara fuori classifica Se è vero (come è vero) che ogni film costruisce un mondo rappresentato, quello che esce da ‘Reality’ è   preoccupante ed imbarazzante. Quello che è davvero notevole è la modalità che Matteo Garrone sceglie per descrivere questo mondo: colori saturi senza mezzi toni, personaggi sul confine tra lo sgradevole ed il grottesco in contrasto con la realtà quotidiana mirabilmente descritta nel piano sequenza che racconta il rientro nel fatiscente palazzo seicentesco (sotto i lustrini le mutande !) dopo il surreale matrimonio in costume seicentesco dove tutto è finito e terribilmente kitsch. E ancora la progressiva alienazione del protagonista sottolineata con un uso intelligentissimo del piano focale; infine nel finale una nuova variazione di registro virando verso una rappresentazione altamente simbolica e ‘fantascentifica’ (Luciano è entrato davvero nella ‘Casa’ ?). Il tutto incorniciato da due panoramiche aeree , prima a scendere e poi a salire, che avvertono che l’alienazione e la confusione tra apparire ed essere è in agguato ovunque. Eccellenti attori ‘presi dalla strada e dal carcere’ , calore, umanità e fantasia napoletana caratterizzano un film di rara ricchezza linguistica.