gli animatori lo hanno visto così : BENE QUASI BENE COSI’-COSI’ COSI'-COSI'-COSI'
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ZERO DARK THIRTY |
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dei film precedenti
roberta braccio |
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Molto del senso del film gira intorno al titolo: l’azione accade, dopo tanta attesa e tanta vita dedicata, in piena notte, in un orario non ben definito, quando la coscienza è meno vigile e la mente è ovattata nel sonno. Storia di un’ossessione, quella della protagonista, che alla fine dei conti non ha né la possibilità di agire in prima persona, né l’onore pubblico del successo; un’ossessione che cresce con il passare del tempo ma di cui non si ha coscienza fino all’alba del giorno dopo, quando le viene chiesto che direzione prendere. Storia di una cronaca, quella dell’uccisione del terrorista più noto del mondo, di cui il pubblico sa poco o niente e a cui si avvicina, nella prima scena, immerso in una stanza al buio dove si compiono autentiche torture. Il film è di impatto e originale, un autentico pugno nello stomaco che promette, e mantiene, tensione ed intelligente onestà. Il gelido distacco con cui narra le vicende, protagonisti compresi, è certamente una scelta di tono che azzera completamente l’empatia e la comprensione, presentando al pubblico qualcosa a cui non è abituato. Cronaca di una morte annunciata, anzi di due morti, forse, perché le lacrime finali non sembrano essere di sollievo. |
giulio martini |
domenica sera |
Nato per raccontare un tentativo andato "a vuoto" di cattura del Nemico Numero 1 egli USA all'inizio del Terzo Millennio, il film mantiene il tono mesto - nonostante il risultato finale positivo - che aveva la sceneggiatura di partenza di fronte ad una disfatta psicologica ed emotiva che durava da anni. Si sente una sorta di rassegnazione, al limite e dello sconforto, nella valutazione dei metodi e delle modalità operative ( molto casuali, approssimative non esattamente certi in barba alla tecnologia ...) di tutti gli 007 impegnati nell'impresa. Non c'è trionfalismo, non c'è spettacolarizzazione alla James Bond, ma neanche l'epicità quasi ottimistica de "Il giorno più lungo" o la strafottenza di Argo. Si veda la scena dell'attacco sostanzialmente buia e indecifrabile sia per i militari in azione sia per gli spettatori . Ne risulta un tipo di film bellico molto poco rassicurante e ben poco auto-celebrativo, decisamente pensoso - non solo sul ruolo della prima donna autorevole ed autoritaria tra tanti soldati maschi . E non mancano neppure da parte della regista maschiaccio -evidenti perplessità sulle vergognose, ed inutili, torture utilizzate dalla CIA. |
angelo sabbadini |
martedì sera |
Chi ha detto che la guerra è cosa da uomini? Maya, ennesimo, coinvolgente ritratto di amazzone in stile Bigelow ci mostra che il war movie può essere rinnovato inserendo la spiazzante variabile di genere. Maya combatte con la sensibilità e l’intuizione che appartengono al genere femminile ma assorbe inevitabilmente comportamenti e ossessioni squisitamente maschili. Alla fine del film se è in grado di riconoscere con certezza l’identità di Osama Bin Laden non è più nella condizione di fare i conti con la propria ambivalenza interiore. |
carlo caspani |
mercoledì sera |
Azione, guerra e solitudine dalla
regista più maschia d'America. Dall'iniziale buio agghiacciante dove emergono solo voci e tormenti dell'11 settembre a una serie di periferie desertiche, capannoni scalcinati, torture e tensione per Maya, che accetta fin dall'inizio di essere e fare quello che la situazione richiede, perché à la guerre comme à la guerre, e non è gioco per anime belle ma roba sporca, che fa male al corpo e allo spirito. Niente situazioni affascinanti alla James Bond, ma solo, alla fine, una lunga sequenza virtuosistica di cinema di guerra girato come un reportage live di morte e supremazia tecnologica. Basterà una lacrima finale a ridare umanità a Maya, che ha avuto la sua preda e la sua vendetta??? |
marco massara |
giovedì sera |
Paghi uno e vedi tre: un film
sulla tenacia e il retroscena di coscienza di una donna che punta a un
obiettivo, un film di (velata) denuncia dei ‘reinforced interrogation
methods’ (leggi ‘tortura’) e che mantiene il dubbio sulla effettiva
eliminazione di Bin Laden, e un film sulle congiure di palazzo, le gelosie
ed i colpi bassi tra chi dovrebbe essere dalla stessa parte . Tutti e tre
ben fatti ed efficaci. Però la convivenza non sempre fa sinergia e ogni
tanto il senso del film ‘globale’ si sfilaccia e genera anche qualche
lungaggine d troppo. Piccola malignità finale: non è che la scelta del titolo un po' criptico sia stata fatta che si può pronunciare in maniera tale da farlo sembrare 'Zero Dark DIRTY ' ? |
giorgio brambilla | venerdì sera | Kathryn Bigelow prova a far luce su una pagina ignota ed inquietante della storia recente americana, tentando una ricostruzione della caccia a Osama Bin Laden e del suo assassinio. Lo fa per due terzi con lo stile del film reportage, nell'ultimo terzo con quello del film d'azione. Guarda gli avvenimenti attraverso un'agente della CIA che, senza porsi troppi dubbi morali, difende la propria terra. È la storia di un'ossessione, la sua e quella dell'America che lei simboleggia; di una guerra nella quale ci si difende da ogni nemico, che siano i terroristi o i propri esitanti capi. Il film è frammentario e privo di una chiara linea narrativa, sia perché racconta fatti comunque ancora segreti, sia perché così è stata la guerra al terrore, un muoversi nel buio cercando di prevenire dei colpi che comunque sono arrivati e ai quali si è reagito. Anche per questo alla fine Maya non sa dove andare; può piangere liberamente, ma la sua vita, come quella della sua nazione, dev'essere reinventata. Mi pare un'opera saggiamente non pretenziosa, adeguata allaì breve distanza dagli avvenimenti |