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LA MAFIA UCCIDE SOLO D'ESTATE
E' un film di grande
efferatezza, raccontato in modo quasi lieve, attraverso lo sguardo intuitivo
e visionario che le anime dei bambini possiedono e che pressoché nessuno,
riesce a conservare in età adulta.
La commistione dei linguaggi stilistici che la regia utilizza aiuta molto la
permeabilità al messaggio dello spettatore, lo rende maggiormente
comprensibile, lo libera dalla pesantezza razionale, stimolando la visione
immaginifica.
Così narrata la storia si fa vita vissuta dentro, sviluppa la
consapevolezza, la coscienza, possibili cambiamenti. Onora la morte di
coloro che ci hanno aiutato a comprendere; addita con arguzia e geniale
sapienza traslata i criminali di stato nonché quelli fuori.
Nella rappresentazione di tutte le vittime di mafia che questo film ha
voluto commemorare, il regista, il suo sguardo da fanciullo ne esprime tutta
l'umanità, utilizza i piccoli gesti quotidiani quelli che, in maniera
sottile manifestano la statura delle persone. In particolare ne manifesta la
coscienza di coloro che dal davanti, segnano il passo verso la verità anche
a costo di morire. Ed è proprio grazie a questa morte la possibilità di
tenere accesa la scintilla di speranza per i bimbi che arrivano!
rita ferrandi
ferrandi.rita@fastwebnet.it
Ho trovato questo film
bellissimo.
Un argomento già presentato in cento modi ed innumerevoli pellicole è stato
reso in una forma totalmente diversa, unendo spirito e leggerezza con grande
abilità.
Ciononostante non ha tralasciato di sottolineare la drammaticità di quegli
avvenimenti utilizzando immagini reali dei vari notiziari
televisivi, lasciando così affiorarein noi lo sgomento che tali avvenimenti
avevano suscitato.
Ha saputo fare un'operazione simile a quella di Benigni con "La vita è
bella": si può far ripensare agli orrori anche attraverso un racconto
talvolta divertente e soprattutto ironico. Un vero cammino di crescita che,
come avviene per il piccolo protagonista, deve avvenire anche nelle
coscienze.
Bravissimo.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
CHE STRANO CHIAMARSI FEDERICO
Molto interessante la parte
iniziale, con l'ambientazione del Marc'Aurelio e i personaggi storici della
regia, del giornalismo e della
sceneggiatura degli anni 40-50, ma nel seguito il racconto alla "Fellini"
sui rapporti fra il regista romagnolo e lo stesso Scola mi ha
molto annoiato.
Anche gli spezzoni di film introdotti senza una logica ma come veri flash
non mi sono piaciuti.
Mi aspettavo qualcosa di diverso, inerente anche la vita privata del grande
federico.
Maria Cristina Cinquemani -
macri5@fastwebnet.it
Dal cuore mi sgorga un
sentimento di gratitudine verso Ettore Scola! Se dipendesse da me gli
conferirei un Oscar, magari alla carriera. Merito tra gli altri di questo
film, intelligente, colto, poetico, raffinato, vitale ... Di bellezza
marcatamente italiana che poco centra con l'altra: "Grande Bellezza" ... !
Sobria e acuta è l'arte del regista, svelata gradatamente dalla sua essenza,
attraverso una melodia contrappuntistica dove il vero soggetto è la
pregnanza cinematografica. Scola narra dalle origini la sua esistenza e
quella di Fellini, il maggiore (in tutti i sensi ... e questo riconoscimento
umano ancor prima che artistico, conferisce al film una cavalleria d'altri
tempi).
Le due melodie del contrappunto sono proprio i due maestri, Fellini e Scola.
Loro sono gli strumenti filmici di cui la voce narrante si serve per
raccontare con ingegno, fantasia, eleganza, l'ironia della storia; come mi
emoziona la voce narrante, sia nei film, sia a teatro. Una cronaca tutta
italiana che inizia con la visione artistico culturale, attraversando la
gente (intellettuali, artisti, poveri e ricchi) il territorio, gli
accadimenti politico sociali, la guerra ... Una storia costruita alla
maniera di un apologo cinematografico.
Certo che il senso di malinconia accompagna tutta la visione, ha preso per
mano anche me!
Ma che razza di fine ha fatto l'Italia ? Negli ultimi decenni abbiamo
lasciato che i paranha planetari, divorassero la "Meglio Italia" ,
lasciandoci tristi, ignoranti e cattivi, a guardare un'immagine sbiadita di
un pulcinella che suona il mandolino, davanti a un piatto di spaghetti al
pomodoro ... Purché siano "barilla"però e non ... "balilla"!
Grazie di cuore Maestro Scola.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
NO - I GIORNI DELL'ARCOBALENO
Il film mi è piaciuto e mi ha
interessato, nonostante l'eccessivo uso della cinepresa in modo amatoriale.
Certo il taglio documentaristico ci ha guadagnato, ma in alcuni momenti le
luci sparate e gli stacchi netti da un quadro all'altro mi sono risultati
fastidiosi.
Buona la tensione che permeava tutta la vicenda, anche se il finale era già
noto, e particolarmente azzeccata la scelta di far meditare
sull'importanza che una buona pubblicità ha per l'esito positivo o meno di
una campagna elettorale.
Qui era utilizzata per un fine lodevole, ma cosa succede se non sono i
"buoni" ad avere i comunicatori migliori?
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
La visione di questo film è
stata per me molto faticosa, nonostante abbia apprezzato sia il genere
(documentale) sia l'ambientazione (il Cile di Pinochet) ... . Probabilmente
devo imputare questo mio malessere al soggetto scelto dal regista: la
campagna elettorale ... prodotto e risulatati! (Sintesi personale).
E sì, perché fino a quando i panni sporchi ce li laviamo in casa, passi! Ma
quando li vediamo lavare da altri allo stesso modo, in Cile ai tempi di
Pinochet, il disagio è irrefrenabile! Non ha più, neanche molta importanza
al fine di placare l'insofferenza interiore, il risultato positivo dei NO.
Resta comunque una vittoria mercantile. Qualcuno potrebbe obiettare che il
fine giustifica i mezzi, sarà ( in alcuni casi lo è per davvero ... )! Però
dire che questo assunto mi appassioni, ce ne corre. Mi entusiasmava
parecchio, quando da adolescente desideravo stare più a lungo a giro con gli
amici ... !
Sicuramente Larrain ha voluto condurci a riflettere priprio su questo
aspetto della politica; poiché dimmi che cosa è per te la politica e ti dirò
che campagna elettorale farai! Un po' tranchant, ma sintetizza alquanto.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
IL LATO POSITIVO
Mi è parso un po'
squilibrato, per l'alternanza di momenti drammatici ad altri farseschi, dove
il disagio mentale non sembrava riguardare solo i
due protagonisti, ma l'intera famiglia e pure alcuni amici.
Il bipolarismo di Pat non mi sembrava più grave delle fissazioni paterne o
delle forme varie di stress dell'amico e della moglie: poi tutto si
concentra nella preparazione del ballo, che risulterà curativa e liberatoria
a tutti gli effetti.
Nel complesso una pellicola interessante ma non all'altezza delle lodi
sperticate che ho letto nelle critiche.
Maria Cristina Cinquemani -
macri5@fastwebnet.it
L'impressione
predominante che il film trasmette è la gradevolezza soprattutto a dispetto
della qualità tematica trattata.
Non definirei propriamente il genere di appartenenza quello della commedia
(almeno intesa in senso classico).
L'abilità del regista risiede nel riuscire ad affrontare una problematica
sociale importante, la depressione, il disagio mentale all'interno di
relazioni familiari e delle ricadute sulla comunità locale, con piacevole
senso dell'umorismo.
Ed è la pratica dello humour, la rappresentazione comica della sofferenza
che diritta raggiunge la speranza, trasforma il male in bene, trasmuta il
dolore in guarigione per tutti, per ciascuno in modo diverso.
Qualche volta permettiamo al disagio di manifestarsi, nello specifico quello
psichico, di esprimersi per poterlo poi riconoscere; esso allora cambia
faccia diventa catalizzatore di cambiamento prospettico di vita.
Una pellicola che educa il cuore, aggiunge speranza e salute alle relazioni,
anche tra le lande desolate delle periferie americane.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
LA GRANDE BELLEZZA
Il nostro affezionato spettatore Emilio DeTullio ci gira una interessante nota critica che lo ha incuriosito. Eccola:
ho ri-visto
questo film al Bazin, dopo qualche mese dalla prima visione e - tra le due -
ho letto molti contributi critici, compresi naturalmente quelli del
''nostro'' annuale riferimento cartaceo e dialogato con altri appassionati e
cultori di Cinema e di Immagini
ho trovato questo brano altrui. di
Anna Dilengite, molto vicino
all'idea che mi sono formato su questa pellicola, girata tra l'altro nella
mia seconda città, quella Roma dove sono stato ogni anno sin da bambino e
dove poi ho vissuto per cinque anni da adulto, marito e padre, durante la
''rivoluzione culturale'' del '68 romano
lo riporto con due minime ''correzioni'' per mondarlo, anche se ho notato
che non è abitudine del ''nostro'' sito e lo faccio citando naturalmente la
fonte per correttezza 'editoriale'
emilio de tullio
:::::::::::::::::::::::::
La Grande Bellezza al festival della retorica
“Un irresistibile gagá intellettuale napoletano, che nei suoi momenti
migliori ricorda il barone Zazà di „Signori si nasce“, grazie ai
proventi di un favoloso libro scritto in gioventù che pare abbia letto
l'Italia intera, ma che fino alla fine non si capisce di che diamine parli,
gode il tramonto della sua esistenza in un mega-attico con vista sul
Colosseo e nel tempo libero , tra un vernissage ed un festino, scrive
recensioni degli avvenimenti artistici della capitale per un non meglio
precisato giornale diretto da una nana.
Jep Gambardella é un intellettuale che conosce la letteratura e non la cita
a caso ma stranamente frequenta orde di tamarri [...].
I tamarri vengono sempre a casa sua a bere Campari, sniffare cocaina e
ballare Raffaella Carrá, toccando punte di abiezione durante l'esecuzione di
trenini e coreografie da villaggio vacanza.
Ha pure una paio di amici raffinati, tra cui uno scrittore sfigato che è
destinato a fallire perché viene dalla provincia, una nobilastra che ha un
figlio pazzo e una giornalista di sinistra che pare abbia in gioventú
''accontentato'' l'intera Sapienza occupata.
Molti di loro sono ricchi e possiedono una piscina.
Durante la festa dei suoi 65 anni Jep capisce improvvisamente che non ha più
35 anni.
Per sentirsi piú giovane passeggia spesso per Roma, che come si sa, é ancora
più antica.
Botox come se piovesse.
Tutti sono disperati ma non si capisce perché visto che molti di loro sono
ricchi e possiedono una piscina.
Odiano Roma che è una città decadente e morta, ma questo lo diceva già W
Goethe.
Jep è un misogino che si ''accoppia'' con la qualunque, sogna del primo
ammmore e incontra la sua Maddalena nelle corporali sembianze di Sabrina
Ferilli, la quale, ammantata di verace umanitá gli fará pronunciare le
parole di ammore piú belle che si siano mai sentite pronunciare dalla
nascita del sonoro.
„é stato bello non fare l'amore con te“...
Il figlio pazzo muore, Maddalena muore, Jep invece pur fumando moltissimo
sta bene.
Una giraffa scompare.
Ci sono molti prelati e molte suore, alcuni dicono anche qualcosa.
Il mondo si tormenta, Jep perché non scrivi un secondo libro?
Jep risponde …..ahhhhhh......e di cosa dovrei scrivere? Dei balordi che
frequento, delle piste di coca, della decadenza pepetua?
NO a cantare tutto ció ci penserá Paolo Sorrentino.
Ma ecco il colpo di scena.
Una mistica centenaria sdentata che in gioventù, ovvero a settanta anni
suonati, aveva letto l'opera "omnia" del nostro si materializza a Roma e si
autoinvita a cena a casa del Gambardella.
La mistica gli rivelerá che:
- la povertá non si racconta ma si vive
- le radici sono importanti
- i fenicotteri rosa hanno ognuno un nome proprio
Eccola la bellezza finalmente, Jep, profondamente cambiato, puó iniziare a
scrivere il suo secondo libro, la Costa Concordia verrá recuperata e
l'Italia forse con lei.”
© Anna Dilengite
da: <interfaceworld.blogspot.com>
La Grande Bellezza - in
principio ... sognata, immaginata, a tratti vissuta, assaporata; più tardi
affondata, perduta, non ancora trovata!
Una pellicola decisamente traboccante di orrore, eccessiva, debordante di
bruttura. Le stesse meravigliose riprese dedicate alle vedute del paesaggio
romano sono smisurate, ostentano sfacciatamente magnificenza!
Una bellezza dunque, fine a sé stessa che non trova l'humus spirituale per
poter esprimere la sua essenza infinita, dimorando in ogni essere terreno e
celeste.
La grande assente è la Poesia (la rappresentazione del poeta, famoso, tace
sempre ...) questo perché l'anima non è all'attenzione, neanche tra le fila
clericali. Tutto ma proprio tutto, persino i costumi, passa per il mentale,
dribblando accuratamente l'apparato cardiaco, la sua espressione primaria:
l'Amore, in coerenza con la filosofia céliniana. Sorrentino costruisce il
suo viaggio immaginario, interpretando il "Viaggio ... di Céline. Ricerca
una conclusione che possa trascendere la visione del romanziere, forzando il
significato e la metafora delle radici di appartenenza, ma di nuovo la
bellezza e la bruttezza sono talmente truculente (gli aironi di una delle
ultime scene, ne sono testimonianza) che coprono ogni e qualsiasi sentimento
e anelito spirituale.
La materialità esorbitante è stemperata soltanto da una pregevole colonna
sonora e dalla citazione intermittente dell'acqua: del mare, delle fontane,
delle piscine ... .
Certamente il viaggio è quello di sempre, quello che prima o dopo tutti
siamo chiamati a realizzare, verso la morte. Il regista però si ferma prima
di condurre il nostro sguardo oltre l'immaginario materiale ... troppa
densità nostalgica del passato.
Posso comprendere il conferimento dell'Oscar, davvero un lavoro monumentale!
Per i miei gusti è davvero esondante la quantità di materia rappresentata.
Certamente ci sono i richiami felliniani, manca però tutta la componente
onirica che nelle opere del maestro, sapeva ristabilire l'equilibrio tra
spirito e materia.
rita ferrandi
ferrandi.rita@fastwebnet.it
E' un film non facile da
decifrare e a tratti pesante: devo ringraziare Matteo Mazza che ha saputo
darcene un'esauriente lettura con panoramica
molto utile della filmografia di Sorrentino.
Nonostante ciò non mi ha completamente convinto: bellissime le riprese di
una Roma da sogno, irreale e quasi surreale, ottime molte
interpretazioni (Servillo e la Ferilli), ma troppo calcate le scene delle
feste, decisamente troppo rumorose, troppo lunghe e sovraccariche.
La sensazione complessiva è di grande vuoto, di grande freddo e di
solitudine, malgrado la folla di buffoni e caricature al limite del
mostruoso.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
IL FIGLIO DELL'ALTRA
Un film intimo, coinvolgente,
propriamente femminile, un madrigale spirituale.
La colonna sonora, ancor prima di ogni altra cosa, entra nel cuore, ne narra
i tormenti.
Un canto, un racconto, che descrive, esprime, educe, piange tutta la
spaccatura dell'Anima umana: individuale, familiare, amicale, fraterna,
razziale, culturale ... quella Universale!
Il Muro è la frattura al cuore del Pianeta; è la dualità della materia non
ancora integrata dallo spirito, è l'amore ancora insufficiente a sopraffare
l'odio.
Emblematica la scelta di regia, ambientare la sceneggiatura dentro il
conflitto israelopalestinese due culture religiose tra le più importanti e
antiche del mondo; pregne di una spiritualità corrotta e incapace di
manifestarsi, se non attraverso meccanismi distruttivi.
Ma le donne che per discendenza sono vocate a riflettere la luce di vita,
riusciranno infine ad affrancare le anime giovani dall'oscurità, rompendo i
confini del livore e il silenzio maschile. Dieci e lode!
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
Mi è piaciuto molto.
La trama, non particolarmente originale, ha preso peso e sostanza per le
differenze così marcate fra le due famiglie coinvolte, una palestinese e
l'altra ebrea.
Certo il cambio di identità non può essere indolore ed emergono così le
caratteristiche dei vari personaggi: forza, disponibilità e comprensione
nelle due madri, apertura e accettazione nelle bambine, ostilità e rifiuto
nei padri e nel fratello maggiore.
Anche se sembra un po' veloce il passaggio delle posizioni più intransigenti
verso una maggiore elasticità di vedute, è comunque bello
il rapporto che si instaura velocemente fra i due ragazzi in causa. Mi
sembra la migliore qualità della pellicola che diverte, interessa e fa
pensare, pur non presentando particolari colpi di scena nel suo svolgimento
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
VIVA LA LIBERTA'
Un film piacevole che, con
leggerezza, ci racconta delle difficoltà, delle ansie e delle irresolutezze
del PD,
fisicamente bene espresse dal bravo Mastrandrea.
Perché chiaramente del PD si racconta (con personaggi chiaramente
identificabili), combattuto fra “l’usato sicuro”
e un “rivoluzionario” un po’ folle.
Alla fine Andò ci esprime il suo auspicio: una sorta di “Bersenzi” che ci
sorride dall’ultima inquadratura.
Paolo Borgherini - borgherinip@tiscalinet.it
Film di asciutta bellezza
interiore, di penetrante armonia dolorosa!
Il regista ricostruisce e rappresenta un pezzo di mondo politico, l'humus
sociale italiano del momento (2013). Attraversa questi elementi per svelare
l'anima, la personalità, i desideri, la vita privata presente e passata, la
parte più genuina e fragile dell'uomo politico; togliendone la maschera,
bella o brutta che sia!
Gli indizi ricostruttivi dei personaggi politici, sono espliciti. A me
questo appare come un segno registico forte, distintivo, volitivo. Come a
dire che i personaggi politici dei quali Andò ci vuole raccontare,
provengono dalla sinistra, dal quel mondo, da quella storia. In particolare
viene presentato quale protagonista uno degli esponenti maggiori del
partito, per meglio dire, il suo doppio ... Mirabolante Servillo!
Viene messa in scena la follia per poterci mostratre l'altra faccia: la
depressione (titanica malattia attuale) la quale silente e potente,
imprigiona le manifestazioni della vita emotiva e creativa. Ecco che allora
la doppiezza, la dualità di questa umanità dolente, potrebbe essere una
delle possibili chiavi di lettura dell'insuccesso, di una politica che non è
più politica, di un sociale ancora molto individuale.
Ottimo, generoso nelle riflessioni.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
La definizione che mi è
subito venuta in mente per questo film è: delizioso.
Tanto piacevole nella forma e nelle battute, quanto sottilmente cattivo e
profondo nella sostanza.
Mi piace Roberto Andò come regista ed ho visto gli altri suoi tre film
trovandoli gradevoli, ma questo è veramente il migliore per come ha
descritto la situazione disastrosa della nostra politica ricorrendo ad una
specie di favola, dove l'unico che dice quello che pensa è un
filosofo folle, mentre chi dovrebbe occuparsi di risolvere gli enormi
problemi che incalzano, preferisce fuggire che affrontare la realtà.
Toni Servillo riesce ancora una volta ad imporsi nella doppia parte dei
fratelli Enrico e Giovanni, così uguali fisicamente ma diversissimi
caratterialmente, mentre il bravo Mastandrea diverte e intenerisce con le
sue ansie e i suoi dubbi nella complicata situazione che si trova a
dover risolvere.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
IL LAUREATO
Mi e piaciuto ancora, ma non
ho trovato l'atmosfera che mi aveva colpito quando il film è uscito.
I personaggi mi sono sembrati veramente datati e lo stesso Hoffman un po'
troppo impacciato, poco espressivo e senza fascino per risultare
preda ambita di una annoiata e matura signora.
Negli anni sessanta il racconto appariva audace, mentre ora, abituati a ben
altre situazioni, ci fa solo pensare a racconti boccacceschi.
La società americana presentata è piuttosto squallida e vuota.
Resta sempre splendida ed insuperabile la colonna sonora.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
Ho cercato di immaginare come mi sarei
sentita, che cosa avrei pensato, rivedendo per l'ennesima volta e a distanza
di quasi un decennio dall'ultima volta Il laureato ... . Mi sono detta -
forse rivedendolo mi sembrerà fuori moda, sorpassato ... Invece no!
Mi è piaciuto ancor di più, come bere un calice di vino buono, sapientemente
invecchiato.
Concordo con i teorici, il film non risuona soltanto, certo la colonna
sonora è affascinante, coinvolgente. Senza dubbio amplifica emozionalmente
il messaggio di ribellione, di protesta da parte di giovani generazioni nei
confronti della classe medio alta degli Stati Uniti d'America. Il regista ha
scelto un contesto umano di rottura molto forte - Mrs. Robinson che inizia
Ben sessualmente, senza pensare minimamente ad alcuna conseguenza, se non
quella di sfamare la sua depressione.
Le sequenze sceniche del film sono costruite con un linguaggio decisamente
simbolico, che attraversa tutto e tutti.
I simboli sono i gesti delle persone, gli elementi in natura (principalmente
sole, acqua ...) gli oggetti, gli arredamenti delle case, i regali, i
costumi. Tutto ciò che connotò il benessere consumistico della classe medio
alta dell'America di quegli anni. Un consumo del mondo a vantaggio di pochi,
aggettante fondamenta di una insostenibilità dello stile di vita. Quelle
fondamenta che nell'evolversi dei decenni successivi, fino ad oggi, hanno
supportato la crescita dei movimenti che cercano di ritrovare e praticare,
per contro stli di vita sostenibili e meno consumistici, più consapevoli e
rispettosi.
Nel corso del film il Laureato progressivamente si affranca, compie un
cammino di liberazione: dai genitori, dagli amici di famiglia che non sono
amici, dagli agi inclusi che lo rendono inerme, dall'avere tanto senza
sapere cosa farsene.
L'emancipazione avviene poco alla volta e per sottrazione, ogni evento segna
in qualche modo un lasciare indietro qualcosa, un di più che pesa. Fino ad
arrivare all'epilogo, eloquente e strabiliante! Ben si appoggia alla vetrata
della chiesa quasi spoglio, sporco, anche il duetto si è fermato, è stato
lasciato indietro. Dunque prima di scappare con Elaine, brandisce la croce
per allontanare gli astanti e dire loro che, nel caso non ne sono proprio
degni ... . Corrono infine, riescono a salire su un pullmann giallo, simbolo
di socialità, emblema comunitario ... Finalmente sono insieme, più
indipendenti, più consapevoli di essersi forse, riscattati dalla povertà
interiore delle rispettive famiglie.
rita ferrandi
ferrandi.rita@fastwebnet.it
NINOTCHKA
Rivisitare film della
portata di Ninotchka, è un'esperienza notevole, un esercizio di come eravamo
... , reso ancora più intenso da una bobina in bianco e nero. La possibilità
di rivedere o vedere per la prima volta, un film antico di valore, permette
di ampliare la conoscenza, la capacità discriminante delle qualità storico -
artistiche del film, che certamente sa oltrepassare la cronologia temporale.
Lo stile recitativo, i dialoghi, il gioco di ruolo, la cura dei costumi, del
trucco, il susseguirsi delle scene, denotano una intelligenza espressiva
piuttosto alta, profonda, come a dire verticale e che, proprio per questa
sua caratteristica riesce a comunicare tutta la trasversalità del contesto
sociale e culturale dell'epoca, invitando lo spettatore a cercare una
trasposizione attuale e confrontarvisi.
Attraverso i protagonisti, i numerosi personaggi, le loro storie d'amore, le
loro relazioni interpersonali, la cultura dei paesi di provenienza, le
esperienze di vita differenti, Lubitsch ci racconta i vizi e le virtù, pregi
e difetti di alcune regioni del mondo, della loro umanità!
Tutto il corso del film è accompagnato da una misurata e raffinta ironia,
l'eleganza accompagna le conversazioni, la gestualità anche la più maldestra
e poi ... la risata tanto attesa sgorga con forza e leggiadria, senza
volgarità, liberando tutto il suo potere demiurgico.
Ho goduto piacevolmente della visione di questa pellicola; ho provato anche
nostalgia per quel modo di sentire, dialogare, di rapportarsi con gli altri,
così ben rappresentato sul set del film.
rita ferrandi
ferrandi.rita@fastwebnet.it
E' STATO IL FIGLIO
Straordinario monumento
iconografico alla disperazione, una disperazione suprema, totale! L'assoluta
mancanza di speranza dichiarata dalle immagini della nave arrugginita e
incagliata, a inizio film, diventa in breve ciclopica, travolgendo lo
spettatore in uno stato di disagio quasi fisico, altrimenti sopportato
grazie ad alcuni fotogrammi particolarmente ironici e caricaturali.
In un humus di questo "spessore" può essere coltivata soltanto la crudeltà
ignorante e senza scampo ... . Anche il bozzo animico di Tancredi, viene
letteralmente fatto a pezzi da un destino che non ha nessuna intenzione di
lasciarsi scalfire, almeno durante l'esistenza rappresentata, da cambiamento
alcuno! Gli induisti direbbero che è tutta una questione di karma - "bello
tosto" ... pure.
Molto viene descritto dalla fotografia, riproposta alcune volte durante il
film, quella che inquadra i tre uomini (le tre generazioni) sulla strada di
casa a fine giornata, una strada perfettamente tenuta e delineata, messa
come un ponte (tra il dentro e il fuori) verso le case del quartiere, la
prospettiva architettonica evoca un castello, vestito però come un carcere
dismesso.
Di questo film è la fotografia la vera protagonista, il suo cardine
espressivo, la sua anima che non ha il cuore! Un film che attraverso il
livello di differenziale comunicauna una potente profondità artistica, nel
suo genere è capolavoro autentico.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
Mi è piaciuto moltissimo,
anche se si tratta di un film decisamente ostico e difficile da digerire.
Sono stata condotta attraverso paesaggi alienanti e squallidi nella vita di
una famiglia quasi impossibile da immaginare, talmente esagerata
nel suo cattivo gusto e nelle sue aberrazioni da sembrare una caricatura: ma
ogni momento la prospettiva cambiava, i personaggi
peggiori perdevano un po' della loro cattiveria ed emergevano l'opportunismo
e la miseria delle altre figure, fino all'apoteosi della
scelta finale da parte della madre dell'uomo ucciso.
Tutto è bieco interesse, i sentimenti non esistono e le uniche cose
appetibili sono quelle puramente materiali.
Alcuni personaggi mi hanno ricordato quelli dei film della Wertmuller, altri
quelli di Germi o Monicelli, ma il cinismo e la cattiveria
permeavano tutti e tutto in modo ancora maggiore.
Splendida la scena finale dei palazzoni bianchi sotto il cielo nuvoloso
immersi in una musica da requiem.
Infine attori magnifici e un Servillo da Oscar.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
PROMISED LAND
E' un film che non mi ha
convinto del tutto.
Le tesi proposte sono valide, ma non nuove, come non è nuovo il cambiamento
che si verifica nell'atteggiamento del protagonista, Steve.
Anche l'antitesi fra sfruttamento delle risorse a scapito delle popolazioni
locali e la salvaguardia dell'ambiente si è già vista molte volte.
Aggiungo che l'andamento generale della prima parte mi è risultato pesante e
un po' noioso.
Se penso alla vivacità di altri film sull'argomento, primo fra tutti Erin
Brochovich ma anche Michael Clyton, il confronto non è entusiasmante.
Mi sono piaciute le panoramiche del territorio, e alcuni interpreti: non
Matt Damon.
Non è un film che rivedrei.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
E' un film ecologico in tutti
i sensi, anche nell'utilizzo del linguaggio, non urla, non strepita, non
denuncia occupando le piazze ... !
Gus Van Sant sceglie di far parlare la gente, le famiglie di agricoltori,
contestualizzando la narrazione nell'Ohio, ma in realtà il problema è
condiviso dal mondo; l'indusrtia non a caso si chiama Global : come a dire,
contesto locale, problema globale!
Il regista svela velando, lentamente, un sistema perverso e malvagio messo
in piedi dai potenti mercenari della terra; ce lo racconta atrraverso la
vita di tutti i giorni da parte una comunità agricola, attraverso le
relazioni interne, di lavoro, di amicizia, di amore, di paure ... .
E sarà proprio la rete sociale costituitasi dentro alla comunità locale, che
potrà risvegliarsi, prendere coscienza della propria forza, affrancarsi dai
nemici prezzolati e, cambiare dal basso le sorti della propria umanità
inquinata e sopraffatta da consumi e agi fittizi.
E' proprio un bel film ! Non certo da un punto di vista spettacolare o peché
la trama è avvincente. Film semplice, giocato in punta di coscienza delle
persone che per vari motivi s'incontrano.
Umanamente molto intenso, con una vocazione alla riflessività circa le
possibilità evolutive della terra e dei suoi abitanti.
Gli scorci alti, le angolatura ampie e lontane della fotografia, evocano
un'appartenenza a un destino superiore, universale ... per l'appunto
Globale!
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
QUANDO MENO TE LO ASPETTI
Un film decisamente ermetico,
in salsa francese. Le anime sono vestite da colori fiabeschi, da costumi
poietici (demiurgici, vivificatori) con l'intento chi lo sa, di facilitare
l'incontro di due mondi, mai come ora così lontani, grandi e piccini, adulti
e bambini.
Il canovaccio della sceneggiatura è la fiaba: invertita, esasperata,
intensificata, caricaturata, ridicolizzata, insonorizzata ... .
E' attraverso tutto questo che il film indica, fa brillare ciò che impedisce
all'umanità di vivere pienamente, in amore, con gioia, immergendosi nella
musica universale, tutelando il pianeta sul quale viviamo.
Anche i bambini però, come gli adulti nonostante il tempo ancora ridotto di
permanenza su questa terra, faticano a manifestare la loro naturale purezza,
gli schemi adulti ancorché incantati e colorati, sono sclerotizzati e molto
vincolanti.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
Io amo molto questa coppia di
attori/sceneggiatori francesi, ma ho trovato questo film meno interessante
dei precedenti: in particolare la prima parte mi è sembrata in po' noiosa.
Come sempre i dialoghi sono sottilmente cattivi e le battute spesso
amaramente comiche, ma i personaggi sono veramente eccessivi nella loro
stupidità o superficialità o ancora insensibilità.
Certo che il ritratto della società francese è piuttosto negativo e spero
che le situazioni paradossali descritte non siano così comuni nella realtà
di tutti i giorni.
Maria Cristina Cinquemani - macri5@fastwebnet.it
Una rilettura iconoclasta di
tre fiabe:
Sandro, musicista iperdodecafonico e balbuziente, divenuto il Cenerentolo
Laura è al tempo stesso Biancaneve [dispersa all’inizio nel bosco, figlia di
una madre/strega botulinata (specchio delle mie brame chi è la più bella del
reame), con la statuetta del nano sulla porta di casa, risvegliata dal sonno
mortifero con uno schiaffo invece che con un bacio]
e Cappuccetto rosso [dispersa una seconda volta nel bosco e irretita dal
“lupo” Maxime che le indica la strada per arrivare dalla zia (non più la
nonna) dove la precede].
Il tutto condito in salsa francese: cinismo, miscredenza a 360 gradi, un po’
di sberleffo anticristiano (la bimba “che si gratta” ma legge la Bibbia,
vuol fare la Comunione e usa il crocefisso al posto del pelouche), oltre a
intricate situazioni familiari che si fatica a decifrare.
Voto 6 perché, in fondo, si lascia vedere e strappa qualche sorriso sulla
questione “14 marzo”.
Paolo Borgherini - borgherinip@tiscalinet.it
ZERO DARK THIRTY
Nel suo genere un film
strepitoso, estremamente difficile da reggere fino alla fine ... spietato,
crudele ... ! La lunghezza forse è dovuta al doversi soffermare sui
personaggi, studiarli, conoscere.
La disumanità viene amplificata dal fatto che il ruolo del segugio/carnefice
è assegnato a una giovane donna - la bravissima Chastain (anzi per la verità
due, una muore quasi all'inizio della storia ...). Una donna della CIA, in
mezzo a così tanta mascolinità d'ambo i lati della guerra!
In tutta la sua vita lavorativa, Maya ha avuto e vissuto per catturare Osama
bin Laden; con rigore scientifico, ferocia e sangue freddo, ha perseguito
con tenacia il suo unico obiettivo esistenziale. Mai lascia trapelare
sentimenti o cedimenti emotivi, Maya si rasserena, si espande solo quando le
fanno trovare indizi da seguire.
Nel film l'odio scorre copioso, rivela i mille volti, i mille generi, nella
vita di tutti i giorni, di tutti i popoli.
Non c'è scampo la guerra è guerra, genera vendetta ... . Chi non ha la
tecnologia, addestra i Kamikaze e li manda a morire.
Un qualche afflato di umanità l'ho avuto soltanto con le immagini dei
mercati, la frutta, la verdura, gli animali, hanno dato vita alla vita e non
soltanto alla morte!
Un'altro spunto interessante di riflessione è la verifica ancora una volta,
di quanto poco il presidente americano (in genere tutti i presidenti del
mondo) decida effettivamente sulle scelte finali; piuttosto è sempre la CIA,
ancora e sempre lei, che fa dare l'OK a chi di dovere. Alla fine poi non ha
neanche più importanza chi ha fatto che cosa... : un grande areo vuoto,
allestito a mo' di Sala del Trono, porterà il corpo e la mente, prosciugati
di Maya, dove vorrà andare. Peccato però che non ci sarà più nessun luogo
dove Maya desideri vivere, perché non c'è più né ragione, né follia che la
ispiri.
L'acqua di vita della quale Maya si è svuotata, l'ha travasata nel corpo
mussulmano durante la tortura, e come in un immagine di vasi comunicanti, la
materia liquida è l'odio ... .
A tratti mi ha ricordato il film di Hutton : Dove osano le acquile,
soprattutto l'azione militare finale ... Ma quella era un'altra guerraun bel
po' di tempo fa.
Mi piace pensare che la regista abbia girato questo film per raccontarci che
l'attentato alle Torri Gemelle, non potrà continuare a giustificare tutte le
guerre che l'america intraprende e tutti i morti civili e non, che continua
a mietere.
Perché dentro a questo trita anime che sono le guerre, neppure le donne
riescono più a salvare la loro preziosa umanità.
Grazie ancora per il rinfresco etnico, siamo stati più vicini al popolo
arabo.
ferrandi.rita@fastwebnet.it
VIAGGIO SOLA
Il film mi sembra dedicato
alla " SOLITUDINE"; tranne la giovane coppia dell'albergo alla Terme toscane
( dovrebbe essere una coppia in viaggio
di nozze),oltre la protagonista Irene, che viaggia in tutto il mondo per "
valutare" la classificazione delle corrette indicazioni del pregio
degli alberghi "controllati", il film ci fa vedere tutti personaggi "soli";
la sorella, il cognato, il commerciante di alimentari bio, la
ragazza che avrà il figlio dal precedente, gli stessi prestatori d'opera dei
superlussuosi Hotel ( praticamente vuoti anche loro ) sono e
rimangono desolatamente SOLI, stretti inderogabilmente al loro ruolo ed
incapaci quasi di umane relazioni o di scegliere tra la vita quotidianamente
condotta ed un futuro di affettività con compagni di
vita, quasi che ciò potesse limitarne quella che si definirebbe la libertà
individuale.
Grazie per averci fatto vedere superalberghi del mondo dedicati a
superfacoltosi, ma anche a farci riflettere su aspetti della vita
"quotidiana", decisamente più importanti : " COSA VUOI FARE DA GRANDE"?
Stefano Ulivi - stefano.ulivi@fastwebnet.it
Il film è garbato e piacevole
da vedersi, ma a mio parere tocca troppe problematiche in modo troppo veloce
e superficiale.
L'impressione che ne ho tratto è stata quella di un bello spot
pubblicitario, dove tutto è girato in fretta per non sciupare minuti
preziosi e costosi.
Molte scene (come quella dell'incontro a Marrakhech) sono rimaste come
sospese, incompiute: avrei preferito che il film avesse usato qualche
minuto in più per dare a certi episodi il tempo di avere un loro
significato.
Per finire, vorrei vedere se la Buy è in grado di avere un'espressione meno
dolente di quella che ci presenta immancabilmente.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Non è un film che mi abbia
entusiasmato, non riesca a tendere corde profonde … Si ferma, piuttosto,
appena sotto la superficie; è altresì ricco di spunti per riflettere.
Secondo me la regista ha voluto esplorare il tema dell’equilibrio
esistenziale precario, con il quale le donne devono convivere
quotidianamente, tra lavoro/carriera, vita affettiva, maternità/creatività.
Infatti, se le donne nel film arrancano nella ricerca, gli uomini sono già
in una fase di stallo, rasente la depressione.
La Tognazzi forse, nell’affrontare necessariamente all’italiana, la tematica
femminile, eccede nelle suggestioni, inibendo così il manifestarsi di
sentimenti autentici e di relazioni affettive genuine.
Tutto è piuttosto cerebrale soprattutto la componente femminile; non mi
sento di escludere che Maria Sole volesse fare emergere anche questo
aspetto, un segno dei tempi, fra gli altri … ?
In chiosa ritengo importante valutare che il Viaggio non è tema principale
del film, è un pretesto interessante, ma per stressare le difficoltà che le
donne incontrano nel conciliare carriera e famiglia, inoltre e con tutta
probabilità per ottenere alcuni sponsor da parte di catene alberghiere.
Visto che Martini ha citato il film “Tra le nuvole” del 2009, aggiungerei
che “Viaggio sola” per certi aspetti potrebbe essere considerato la versione
femminile del film interpretato da George Clooney (con le dovute
circospezioni e differenze di genere).
In ogni modo sono soddisfatta di avere visto un altro buon film, consente di
aggiungere alla vita un pezzetto in più di comprensione.
rita ferrandi ferrandi.rita@fastwebnet.it
HITCHCOCK
Ho apprezzato molto questo
film, la considero una vera e propria Lectio Magistralis sul cinema di
Hitchcock. Per fare questo il regista ha dovuto esplorare, attraversare il
lato umano di questo grande regista inglese, certamente rivoluzionario, una
voce fuori dal coro, soprattutto quello hollywoodiano.
Gervasi mi ha trasmesso la sensazione di aver visto un film di ottima
fattura, ben circostanziato, paragonabile alla descrizione di una eccellente
seduta psicoanalitica, raffinata, ben temporizzata. Devo confessare che
conoscere i presupposti, i preliminari, in una parola la gestazione
dell'anima di un film, aiutano molto a comprendere in profondità la sua
essenza, la storia, il contesto culturale nel quale si svolge e che viene
rappresentato. Gli attori tutti, in particolare i protagonisti sono, più che
bravi, intimamente reali.
Non mi sono mai soffermata sul fatto che Hitchcock, non abbia mai vinto un
Premio Oscar ... Senza voler istigare polemica sterile, qualcosa vorrà pur
dire, intorno al popolo americano.
Dunque ancora una volta ottimo film. Certo che i nostri cineastibazin ci
cibano con vere e proprie leccornie filmiche.
rita ferrandi
ferrandi.rita@fastwebnet.it
Il film mi è piaciuto, ma non
in modo eccessivo, poichè l'ho visto come un documentario o una biografia.
Da una parte la descrizione, per altro interessante, della lavorazione di un
film "cult" come Psycho, dall'altra la personalità problematica e
sfaccettata del famoso regista hanno costituito per me il maggiore valore
della pellicola, ma non mi hanno creato particolari emozioni.
Ben rappresentato il mondo holliwoodiano degli anni '50 e splendida
interprete, su tutti, Helen Mirren.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
IN MEMORIAM
LA PARTE DEGLI ANGELI
Finalmente Ken Loach ci
offre un film ottimista, dove il finale ci induce a sperare che non
tutti siano destinati alla rovina.
Le premesse sono le solite: famiglia disastrata, gioventù bruciata in
istituti correzionali, faide di famiglia che non ti lasciano scampo.
Ma poi si apre qualche
spiraglio: una ragazza che ti sta vicino e che ti dà un figlio, un
giudice che ti offre l'ennesima possibilità e, sopra a
tutti, un assistente sociale, vero angelo della situazione.
E' bello vedere che, pur non tralasciando di occuparsi degli ultimi, dei
più emarginati e apparentemente irrecuperabili, questo regista si lascia
andare alla speranza di in domani migliore, di un futuro degno di essere
vissuto.
Anche la colonna sonora sottolinea questa ritrovata allegria.
Bravi e azzeccati gli attori.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Ho provato molta simpatia,
sintonia per questo film perspicace e intuitivo.
Il significato intimo del titolo viene svelato entrando di naso nella
visione, cioè con il più primitivo dei sensi, l'olfatto!
La poetica del titolo esprime tutta la sua densità attraverso i
personaggi emarginati di un mondo ubriaco di eccesso, che vorrebbe i
dropout per sempre confinati alla periferia dell'esistenza, per evitare
così di doversi confrontare con la loro parte animale, la controparte
però è che così facendo, viene oscurata anche la faccia luminosa della
luna.
Ma l'etere si sa ... va dove vuole e lo spirito divino nutre anche gli
angeli, esseri aiutatori che talvolta accompagnano alcuni tratti di
vita.
L'idea ti utilizzare lo whisky come figura retorica la trovo davvero
brillante. Un marchio nazionale di origine controllata che accompagna
tutto lo svolgersi della trama filmica, dall'inferno di un uso malefico,
fino al potere redentivo attraverso un impiego virtuoso dello "strumento
spirituale". Lo whisky prodotto che qualifica il paese, lo sostiene,
produce reddito e occupazione. La lavorazione è lunga, richiede pazienza
e competenza; calore, legno, alchimia e l'utilizzo di tutti i sensi ma
necessita anche d'amore e di passione.
E' proprio per questo che gli angeli scozzesi, più di altri ne hanno
bisogno per stare nell'etere, il quinto elemento di natura! Per aiutare
il Quarto Stato (locale) ... Citato da Martini ! I personaggi sono
presentati, raccontati, redenti in maniera autentica, senza ombra
d'illusione, per questo la speranza della salvezza entra nel sangue ad
ogni sorso di whisky.
Un grazie di grazia al Signor Rossi per quel meraviglioso dopo cinema,
non tanto e soltanto per il liquore offerto, ma per il clima sollevato
... !
Come dice G.K. Chesterton : "Gli angeli sanno volare perché si prendono
alla leggera" .
rita ferrandi
ferrandi.rita@fastwebnet.it
VITA DI PI
Un film dell'anima che
parla alle anime !
Il regista utilizza un linguaggio spirituale fortemente simbolico,
niente e nessuno viene escluso dal partecipare alla vita di questo
pianeta creato da Dio, un Dio presente in ogni cellula che respira, un
Dio che non patisce differenze religiose, un Dio unico dai tanti nomi.
Tutto è uno, come recita bene l'assunto ermetico: "Tutto ciò che è in
alto è come ciò che è in basso, tutto ciò che è in basso è come ciò che
è in alto".
Anche in questa pellicola straordinaria per intensità e ... profondità
... ! Gli elementi che accompagnano il cammino iniziatico del
protagonista sono l'acqua, il fuoco, la terra e l'aria. Dentro a questi
elementi ora abbacinanti, talvolta tenebrosi, l'uomo si misura con
sentimenti, paure, ignoranza, affetti ... tutti i mostri interiori
dell'io, che lo legano alla materia, al fisico impedendogli l'evoluzione
spirituale.
Ciascuna scena del film, ogni singolo fotogramma (la fotografia è
celestiale!) hanno un forza trasmutante: gli animali, la barca, i pesci,
l'isola carnivora, un dente dentro a una pianta a cavolo ... ma il
grande direttore d'orchestra che porterà a suonare la compiuta sinfonia
dell'anima, sarà nuovamente il dolore, la sofferenza, la perdita di
qualsiasi legame con il proprio io. Il naufragio di Pi evoca
l'esperienza desertica di Cristo ... !
Appena dopo, esaurita cioè la funzione simbolica, le creature tutte
animate e inanimate, tornano fatalmente a fare parte dell'Universo,
della Grande Anima ... .
Dunque la storia vera non c'è! Esiste quella che gli uomini scelgono di
raccontare con la loro vita ... E la storia scelta da Pi è piaciuta
anche a Dio !
rita ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
Ho provato, vedendo
questo film, un vero godimento estetico: le scene in mare sono
bellissime, ma già dai titoli inziali si entra in un vero paradiso
terrestre, pieno di vita, colori e rumori totalmete coinvolgenti.
Aggiungiamo le varie letture che si possono attribuire al racconto,
romanzesche o metafisiche, gli effetti incredibili che si succedono e
l'abilità di tenere viva l'attenzione in una situazione di per sè
statica e claustrofobica: lo si può ritenere un capolavoro.
Indimenticabili sono certi sguardi della
tigre, feroce e umana allo stesso tempo: credo che Ang Lee si meriti
tutti i premi che gli hanno voluto dare.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
ARGO
Bello ed avvincente
come un reportage in diretta.
Nonostante si sapesse benissimo che la soluzione positiva ci sarebbe
stata, la tensione non è mai venuta a mancare, gli stati d'animo dei
personaggi coinvolti erano tangibili e condividibili per tutta la
narrazione.
Anche l'atmosfera pesante, come si può sentire in un paese governato
dalla violenza, era perfettamente avvertibile.
In complesso un'ottima prova di regia e di interpretazione.
Maria Cristina Cinquemani
macri5@fastwebnet.it
Un film decisamente
americano, molto attraente, tiene alta la tensione, l'immaginario
risolutivo per tutta la sua durata.
Altri pregi filmici: commistione degli stili di regia, approfondimento
storico informativo, mostra la faccia buona della CIA, l'attestazione di
quanto sia agevole per gli Stati Unita d'America, attizzare fuochi di
guerra ... .
Giacché, come si fa a non provare compassione per la donna iraniana che
parlando alla televisione della prigionia degli ostaggi all'ambasciata
statunitense, accusava l'America di aver dato asilo a un anziano tiranno
(lo Scia di Persia che il governo statunitense aveva contribuito a
insediare da giovane) alla fine dei suoi giorni. Lo stesso Scià che
aveva affamato il popolo, i suoi bambini, bruciando con fiamme disperate
un paese meraviglioso ... e che adesso in punto di morte, sancisce col
sangue del suo popolo, l'arretramento nazionale a un medioevo fanatico
religioso !
Certo è che gli americani sono molto bravi, a distanza di decenni
rivisitano e rielaborano i misfatti commessi - meglio che niente ! Ma
intanto le nazioni colpite dallo scettro statunitense regrediscono, si
impoveriscono e restano impantanate nella miseria, arretrate per volontà
dei dittatori voluti dall'occidente.
Il regista è stato capace, gli sono grata per avermi fatto conoscere una
parte di storia a me pressoché sconusciuta. Credo che il premio se lo
sia meritato in certo qual modo. Però non riesco a non pensare che
l'oscar per il miglior film sia stato concesso anche come gratifica al
popolo americano, alla CIA, a Hollywood, a tutta la storia americana.
Come sempre e per tutto ... ciò che resta sono davvero le azioni degli
uomini e delle donne, il contributo umano singolo che partecipa al
successo di un progetto più vasto e collettivo.
In chiosa, sempre più le donne (anche nel cinema) hanno un ruolo
risolutivo nell'evoluzione storica dell'umanità; il mandato femminile
non è quasi mai vistoso, spesso impercettibile, proprio per questo è
indispensabile alla salvezza. Dieci!
rita ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
UNA FAMIGLIA PERFETTA
La più importante ricorrenza
per festeggiare in FAMIGLIA per l'occidente è "NATALE" ed il film ci si
butta a capofitto con tutta l'apparenza (
casa bellissima, familiari splendidi e pieni di voglia di festeggiare,
albero e Presepe ); dopo poco si capisce la grande illusione del tutto
FALSO, della RECITA di una festa ricorrente, ognuno fa scrupolosamente
la sua parte (come previsto dal copione); ma ad ogni passo si può
recitare a "soggetto" ( formidabile la bravura del regista e di
Castellitto ), secondo l'umore del momento e si improvvisa, come spesso
può capitare nella vita quotidiana.
Tutti attori- professionisti i più vissuti e apprendisti i giovani due
figli- che ci fanno divertire, ma che fanno anche pensare se c'è
qualcosa di vero e di sostanziale nelle relazioni tra le persone della
stessa famiglia! E nella vita vissuta tutti i giorni! Addirittura il
giovane figlio che spera di passare da questa "recita" al "Grande
Fratello", come possibilità di "avere successo" nella vita. Ma forse una
speranza di vero e nuovo rapporto tra persone, è rappresentato proprio
dai due giovani "figli", che alla fine sembrano innamorarsi di loro come
sono e non della parte sostenuta; grande trovata del bravissimo regista.
Meravigliose l'ambientazione, le riprese in esterno (credo Todi) ed il
ritmo del film, che scorre quasi senza accorgersi.
Un bel film che ci fa anche molto riflettere sui quotidiani
comportamenti.
Stefano Ulivi - stefano.ulivi@fastwebnet.it
E' veramente geniale
l'impianto di questo film divertente, gradevole e pieno di colpi di
scena.
Non l'ho trovato particolarmente dissacrante nel confronto dei soliti
scontati riti natalizi, quanto verso la concezione che abbiamo di una
famiglia desiderabile sotto tutti i punti di vista.
Il padre-padrone è cattivo ed autoritario come raramente si vede e tutti
sostengono il loro ruolo con grande capacità.
In una cornice spendida il teatrino rappresenta la sua commedia,
cercando di seguire un copione spesso sostituito dall'improvvisazione e
l'effetto globale è veramente godibile, anche grazie ad attori in stato
di grazia.
Anche il dubbio che spesso la recita si confonda con la realtà aumenta
l'interesse per questa pellicola, molto ben riuscita.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
La prima cosa che mi viene
da scrivere è che questo film mi ha molto intrigata. Solo apparentemente
banale e scontato, cela una personalità acuta e stravagante. Dietro la
sovrabbondanza di addobbi natalizi lucenti, fuochi accesi nei camini,
quelli fatti esplodere nel cielo ... Il regista con maestria e
destrezza, impegna una compagnia teatrale (gli attori molto bravi,
viepiù nel loro insieme) per poter denunciare il grado di malessere nel
quale versa attualmente l'istituzione familiare, il contesto utilizzato
è quello natalizio, la festa che più fortemente celebra la sacralità
della famiglia!
Senza pietà viene ricostruito e mostrato un gruppo di persone legate da
gradi diversi di parentela, le loro relazioni, i giochi di potere, gli
intrighi, gli egoismi, le paure, l'assenza di essenza ... Attraverso i
trucchi recitativi viene mostrata la maschera che ciascuno sfoggia poter
continuare a vivere, a recitare la parte che ci siamo imposti,
attraverso la scrittura di un copione falso, fatto di apparenza, di luci
a intermittenza. Affetto, benevolenza restano soffocati, chiamati con
altri nomi, mimati, ricreati al momento utilizzando confezioni regalo,
vuote.
Ma la rappresentazione simbolica più potente del film è il furto del
Bambinello dal presepe della chiesa, durante la Messa di mezzanotte ...
.
Fa venire voglia di cantare il versetto di quella canzone: ... Dio è
morto ! Chiedendoci, dove abbiamo seppellito il sacro, la parte divina
della natura universale ?
La commedia cinematografica ha una qualità influente, ti dice delle cose
orrende facendoti ridere - ovviamente vale solo per le commedie ben
fatte, non per i cinepanettoni in genere!
rita ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
ANNA KARENINA
Bellissime le scene, i
colori, i vestiti e le musiche, ma l'impostazione teatrale del film non
mi ha convinta.
Tutto l'effetto drammatico della vicenda, a mio parere, è stato smorzato
dai cambi di scena su di un palcoscenico vero e proprio, e non ha
permesso di immergersi totalmente nello stato d'animo dei
protagonisti.Anche la scelta di un conte Vronsky un po' troppo
bamboleggiante ha contribuito
a dare un tono da operetta
al racconto.
Ho rivisto di recente il film precedente, con la Marceau, e mi ha
coinvolto maggiormente.
Maria Cristina Cinquemani
macri5@fastwebnet.it
Non sono mai riuscita a
leggere il romanzo di Lev Tolstoj "Anna Karenina"(letto tre volte) come
una grande storia d'amore, piuttosto la vedo come un'apologia
dell'incapacità di amare dell'umanità ... .
Una umanità troppo distratta dall'eccesso di passioni, dalla
ricercatezza esteriore, dal desiderio di sopraffazione di tutti e di
ciascuno in particolare. Non è neanche o soltanto un problema di genere
(maschile contro femminile) è proprio un problema culturale,
trasversale; a fronte di figure maschili impenitenti, ce ne sono
altrettante di femminili, malignamente pettegole, disposte soltanto a
mettersi in luce attraverso il prevaricamento.
Il tutto viene però attenuato, se il contesto si fa contadino; allora i
bisogni primari, il rapporto dell'uomo con la Natura dura, sollecitano
altre priorità, altre modalità di vivere, di morire. Questa
contrapposizione è espressa con perizia dal regista attraverso quel
salto d'immagini: da un lato il ballo con quel movimento di braccia
sinuoso (i ballerini le incrociano e le seducono come se fossero colli
di cigno danzanti) dall'altro le braccia dei contadini che muovendosi al
canto della terra, mietono con le falci (simbolo della morte) come il
canto del cigno... del Gran Ballo.
Forse l'unico rapporto d'Amore autenticamente espresso, è quello del
fratello Costantin morente, che per compagna ha una prostituta ... !
Richiama finalmente un poco di spiritualità Tolstoiana.
Certamente il film ha una regia barocca, carica di colori forti, fitta
di citazioni pittoriche e tatrali, inibenti forse la componente
emozionale, complice lo stile recitativo degli attori principali. Certo
è però che come tutte le pietre preziose guardandole, a volte scopri che
vi è un lato riflettente più luce ... Questa luce talvolta si esprime
attraverso prospettive complesse, il resto la capacità trasmissiva di
Martini !
Un Natale di luce e di pace a tutti.
rita ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
LA BICICLETTA VERDE
E' un racconto semplice di
una storia semplice semplice, come la sua protagonista, ma rende
benissimo l'idea della situazione femminile
nell'Arabia più conservatrice.
La coercizione viene attuata nei modi più disparati e le stesse vittime
accettano la loro condizione con passività, accontentandosi di esibire
trucchi e abiti eleganti solo in ambito femminile o ai loro mariti (che
non esitano a dedicare ad altre le loro attenzioni).
Basta questo a rendere importante la piccola ribellione di Wadjda,
dodicenne vivace e indipendente, che riesce a portare dalla sua parte la
madre così impregnata delle usanze e dei costumi di un islamismo pieno
di eccessi.
Per questo mi è piaciuto questo film, nonostante un po' di noia durante
tutte quelle recitazioni dei versetti del corano.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Tra le religioni,
quella mussulmana è per me la meno espressiva in termini di
spiritualità. Piuttosto proselitista, maschile e osservante!
Il Corano un testo poetico colmo di grazia, viene interpretato
rigorosamente, utilizzato come vero e proprio manuale di comportamento
religioso e sociale; seppur cantato ... insegnato nelle scuole apposite.
La cultura islamica però ha natali profondamente poetici e il rovescio
dell'applicazione della giurisprudenza coranica, è il sufismo
(misticismo islamico). Questa premessa è a me necessaria per approciare
un film così apparentemente pacato, equilibrato, ben tratteggiato ...
La regista utilizza ogni sorta di simbolo - primo fra tutti la
bicicletta verde, il bianco e nero del maschile e femminile, le scarpe
da tennis*, la radio con la musica ad alto volume, l'orizzonte che
incontra la strada, l'abito rosso scollato, avanti così ... - per
esprimere la sua ribellione, denunciare la condizione femminnile,
mettere in luce il suo punto di vista nei confronti della propria
cultura, del proprio paese.
La potenza simbolica permette ad Al Mansour di sollevare i veli delle
donne con discrezione e maestria, rivelandoci tutta la natura,
l'attitudine rivoluzionaria di un futuro islamico decisamente muliebre
**.
* ... non necessariamente quelle della canzone di Iannacci, anche se
sono molto simili.
** Il termine femminile, usato comunemente da noi, non rende merito alle
qualità animiche espressa dalla donna islamica.
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
LINCOLN
Un film interessante per l'argomento trattato. Nonostante le ricostruzioni ed i dialoghi l'ho trovato eccessivamente prolisso e di poco impatto emotivo.
Il doppiaggio ha conferito a Lewis un tono Monocorde che a mio parere ha aggiunto una dose supplementare di fatica. Peccato.
Patrizia Gnaccarini -
Patrizia-gnaccarini@yahoo.com
L'inizio è stato indubbiamente pesante e un
po' ostico nel linguaggio, ma nel complesso si è raggiunto il risultato
di mostrare una figura
d'uomo gigantesca nella sua determinazione ad abolire un obbrobrio: la
schiavitù.
Dopo la lotta violenta dei negri di Django, assistiamo alla lotta
dialettica dei bianchi illuminati e quell'uomo allampanato, grigio e
malvestito emerge come un eroe integro e puro, nonostante non esiti ad
utilizzare intrighi e veri voti di scambio per raggiungere il suo nobile
scopo.
Splendido Day-Lewis.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Film non semplice e impegnativo.
L’impostazione è di tipo teatrale e molto è affidato al dialogo. La
nostra scarsa conoscenza della storia americana, dei personaggi e delle
situazioni ce lo rende un po’ faticoso. I colori cupi e opachi
contribuiscono a caricare di patos una realtà che ha lacerato
profondamente la storia degli USA , forse ancora oggi non del tutto
metabolizzata. Scopriamo che la corruzione sembra essere una costante
della politica a tutti i livelli ed in ogni paese, qui giustificata
perché “a fin di bene”.
Film bello ma non emozionante.
Giorgio Tacconi
tacconigiorgio@fastwebnet.it
Un film impegnativo, istruttivo, a tratti
decisamente documentaristico.
Questa volta Spielberg viaggia nei meandri cupi della Guerra Civile
Americana, le sue cause, i suoi effetti.
La tonalità sonora, di colore, la forma dominante è grigia.
... Un po' come il bianco nero in Shinderlist ; il rosso colora soltanto
e talvolta, gli abiti della moglie di Linoln, come il cappottino rosso
della bambina nel ghetto ... , a simboleggiare forse, il sangue, l'amore
femminile, il dolore straziante, quello innocente.
Nell'arena di un parlamento soltanto maschile, ove i contendenti al
posto della baionetta utilizzano il linguaggio forense, la donna viene
confinata sullo stesso piano della popolazione nera dalla politica
razzista di allora e, anche per un bel po' dopo.
Il percorso parallelo che il regista fa fare all'uomo Lincoln, quello
personale/familiare e quello pubblico/politico, acuisce l'autenticità
umana di un Presidente che sa di appartenere a un popolo ancora
possentemente ostile, poco incline all'evoluzione.
La sofferenza che il padre di famiglia vive si intreccia con le pene
causate dall'esercizio del ruolo istituzionale, a sottolineare ancor
più, la difficoltà di conciliare il ruolo politico e legale con la
tutela dei valori di fratellanza.
Alla fine del lungometraggio viene naturale commentare l'attualità del
mercimonio dei voti ma, altrettanto normale dovrebbe essere porre a
risalto che: ... "Non tutti i fini giustificano i mezzi" ... ! C'è una
bella differenza tra procacciarsi alcuni voti per abolire la schiavitù e
comprare i voti per defraudare a proprio vantaggio.
In chiosa desidero aggiungere che per me è stato anche un film sul
valore semantico del linguaggio.
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
MOONRISE KINGDOM
Un film che non mi ha appassionato, ha però
attivato il mio mentale, la parte intellettuale, inducendo il ragionare,
per questo e non solo, mi viene da dire che è un film decisamente
maschile! Opera di adulto per adulti, sui bambini, narra in modo
criptico, la distanza incolmabile tra il mondo tardo infantile e le
architetture fisse del pianeta - grandi.
E' una fiaba creata attraverso un pot pourri di citazioni fiabesche
famose e anche meno. I colori, la riproduzione degli interni, spesso
rappresentati a quadro, sono come Carte Tarocchi che si svelano sulla
traccia di un rigo musicale immaginario, dove le note tessono la trama
filmica.
Il bosco, la natura non è quella occupata e costruita, quella
disinfestata che vogliono i grandi ... E' invece quella che i ragazzini
desiderano conoscere e sperimentare; la natura che ti aiuta a
sopravvivere utilizzando quello che ti offre, talvolta attraverso quello
che ti toglie!
Un insegnamento magistrale offerto dal regista: poter vedere da un lato
il contrasto tra una natura generosa e sapiente, istintivamente portata
a dare un nome, un posto a ogni essere o cosa; dall'altro una natura
addomesticata e stravolta dagli adulti.
Allora il teatro, la musica, i colori ... lo sguardo dall'alto, il faro,
la potenza dell'acqua ... Potranno ricreare la vita, abbattere le
barriere e ricostruire l'armonia degli strumenti diversi che suoneranno
all'unisono.
Rita Ferrandi -
ferrandi.rita@fastwebnet.it
DJANGO UNCHAINED
Al di là delle scene veramente truculente, e
talvolata ridicole (ma questo è lo stile Tarantino) mi è sembrato un
film di rara potenza,
coinvolgente fin dall'inizio, con la splendida colonna sonora e le scene
di forte impatto visivo.
Ci dà inoltre un quadro terribile della schiavitù, spesso dimenticata
nei suoi particolari più disumani.
A questo dobbiamo aggiungere splendidi attori, Christof Waltz in
particolare, paesaggi indimenticabili e battute fulminanti: nel
complesso un ottimo film.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Sono da sempre prevenuta nei confronti di
Tarantino ... In realtà più per vezzo che per competenza.
Ma devo ammettere che questo film è un autentico capolavoro. Neanche
sforzandomi, riesco a trovare un solo difetto!
Quentin, mi viene da chiamarlo per nome, e già questo denota il tipo di
rapporto che il regista riesce a instaurare con lo spettatore incline.
Dunque il Nostro utilizza il genere western (Suo primo riferimento
amoroso filmico, fonte ispiratrice cinematografica ... ) per
rappresentare molti degli archetipi, buoni e cattivi, che hanno segnato
l'evoluzione del genere umano; in tal senso è impattante l'immagine
iniziale: grandi massi compongono il territorio, i quali hanno la stessa
forma e lo stesso colore degli schiavi che nella scena successiva
vediamo camminare incatenati ...
I costumi e gli interni, la fotografia, la colonna sonora, le luci ...
Tutto è integrato magistralmente, l'armonia che ne scaturisce è
possente, ironica, audace ... Un concerto di ciclopi mitici!
Persino gli ammazzamenti e la marmellata di sangue che esce copiosa dai
corpi mutilati, non riescono a impressionare, richiamando invece
continuamente alla storia umana, alla sua lotta per la sopravvivenza,
alla violenza intrinseca ad essa.
La Terra è un enorme tendone da Circo, include le multiformi
raffigurazioni esistenziali, e come in un gioco circolare la morte, la
vita, l'amore, il dolore, il successo, l'eccesso, entrano ed escono da
un palcoscenico a forma di ruota!
Rita Ferrandi -
ferrandi.rita@fastwebnet.it
MONSIEUR LAZHAR
Un film che tratta il tema della morte e del trauma in modo delicato privo di melo'.Il professore dimostra grande umanita' nei confronti dei propri allievi in un contesto in cui la rigidita' del clima sembra simboleggiare la freddezza dei rapporti umani. I bambini vengono sorvegliati ed educati ma gli adulti appartengono ad un altro mondo, lontano e a volte agognato (la madre della bambina sempre in viaggio). Particolarmente adatta la piccola interprete i cui occhi svelano un grande dramma interiore.
Patrizia Gnaccarini -
Patrizia-gnaccarini@yahoo.com
Un film molto diverso ed "educativo"; molto
colpito dalla abissale differenza tra una società "asettica" e governata
dalla regole, in cui
un personaggio cerca di inserirsi, a seguito di tragiche vicende della
sua vita.
I soli personaggi pieni di umanità sono, oltre al protagonista, i
bambini della classe a lui affidati, la donna madre (sola) e obbligata a
dare in gestione la figlia alla "tata", a causa del suo lavoro, che la
tiene molto spesso lontana da casa ed infine la insegnante di
recitazione, che cerca un rapporto con il protagonista, avendo forse
intuito la grande differenza rispetto alle persone che vivono nella
scuola; manca del tutto la "famiglia", tranne quella coppia che
"consiglia l'insegnante" a non fare "l'educatore"; altro modo per
escludere il personaggio dal loro mondo.
Non è ammesso nel contesto altro che rapporti formali, non si può
concepire che comportamenti estremamente spersonalizzati.
La psicologa, che estromette dal processo di recupero dei ragazzi, dopo
il trauma della morte della loro insegnante,ha un comportamento
sintomatico di questi rapporti del tutto professionali; la scena finale
dell'abbraccio della bambina con "l'educatore" è, a mio giudizio, tra le
immagini più delicate e significative del film, sottintendendo , forse,
che la migliore cura è l'affetto manifesto, reale e sincero per il
superamento delle difficoltà della vita.
Stefano Ulivi
stefano.ulivi@fastwebnet.it
L'ho trovato bellissimo, semplice e
commovente.
La violenza della scena iniziale è stata trattata con notevole
delicatezza e tutto il film parla di dolorose esperienze, di difficoltà
di vivere ma sempre con garbo e leggerezza, lasciando ai bambini tutto
il loro spazio e la loro spontaneità.
Il viso sofferto e insieme ridente di Lazhar attraversa tutta la
pellicola, ma il mondo infantile che gli gira attorno dà al racconto una
sorta di atmosfera serena e giocosa.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Una storia di vita... garbata, pregiata. Un
canto pedagogico di innocuità, un racconto di educazione all'anima.
La regia stempera una narrazione esistenziale a tinte pastello, la
cinepresa ha gli stessi occhi dei bambini - una parte di umanità ancora
non completamente contaminata dall'oscurità.
E come sempre succede, la morte avvicina i lontani, introduce alla Vita,
apre la finestra a una nuova consapevolezza, intreccia dolori, scrolla
il cuore, mette a tacere le illusioni. La neve e il freddo aiutano a
spegnere i fuochi di guerra, il dolore ancora bruciante di Lazhar: Il
caldo sole, l'azzurro bianco Algerini allargano gli orizzonti dai
giovani canadesi ...
Come stimare poi la definizione della Scuola, che Lazhar enuncia ai suoi
allievi ... ? Pura poesia!
Allora in quell'abbraccio di amore finale: medicamentoso e guaritore ...
E' contenuto tutto il riscatto di quello incomprensibile dell'inizio,
chiamando ciascuno a prendere tra le braccia la grazia della vita!
Rita Ferrandi -
ferrandi.rita@fastwebnet.it
FLIGHT
E' una comune trama
di dipendenza da alcol e droga, ma devo dire che è trattata
benissimo, con un protagonista eccezionale, che riesce a far
provare a volte ammirazione, altre pietà e molto spesso disgusto.
Certo molte scene sono forti e sgradevoli, ma nel complesso il film
mi è piaciuto, le ore sono volate e la parte iniziale della
catastrofe
magistralmente evitata è da manuale.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Un vero filmone !
Le due ore e passa della durata, volano in tutti i sensi.
Il regista ci svela soltanto alla fine quanto alto sia a volte, il
prezzo della libertà, dando allo spettatore l'opportunità di
riconoscersi appunto, attraverso il volo, nella miseria e
disperazione del protagonista ... Sublime Washington!
Anche in questo caso viene utilizzata l'allegoria del viaggio, in
aereo (forse viaggio è un poco riduttivo) a meno che non si
aggiunga: ... nell'inferno della vita, sul ciglio del baratro,
dentro le nebbie della disperazione, a cavallo del lato più oscuro
dell'anima ...
Le traversie e le prodezze che il pilota compie, sono la metafora
delle vite scellerate che tante persone devono compiere, per
comprendere la vera gerarchia spirituale della vita.
Soltanto dietro le sbarre fisiche, l'anima diventa consapevole della
propria libertà, testimoniando cosi la vera scala valoriale.
Un volo acrobatico di liberazione che penetra la società Americana,
quella più abbiente e perciò meno incline al senso della misura.
sempre più sprofondata in una melma esistenziale densa e tenebrosa.
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
La reazione che ho
avuto a fine proiezione è stata: “ma è un film di Zemeckis?”
Tra quelli proposti dal Bazin e quelli cercati autonomamente, ne ho
visti molti di quelli citati nel nostro libretto.
La “cifra” dei suoi film mi sembrava che fosse un ritmo intenso da
inizio a fine, con geniali invenzioni nello svolgimento del
racconto.
Quindi l’ho riconosciuto nella prima parte del film (fino
all’atterraggio di fortuna) con la geniale invenzione del volo
rovesciato (se qualcuno se ne intende, mi può dire se è tecnicamente
possibile per un aereo di linea?).
Poi il film ha cambiato completamente registro e in parecchi
passaggi centrali, troppo lunghi, l’ho trovato anche noioso.
Resta l’angoscia del degrado esistenziale cui portano alcol e droga.
Paolo Borgherini -
borgherinip@tiscalinet.it
I cinque minuti del riscatto finale non alleviano il senso di nausea e di disgusto da alcol e droga che dominano nei restanti 134 minuti.
Giorgio Tacconi tacconigiorgio@fastwebnet.it
A ROYAL WEEKEND
L‘ho trovato un
film inutile e noioso.
Le figure del presidente e del re Giorgio ne sono uscite
ridicolizzate e un po’ squallide e l’unica nota piacevole è l’ottimo
Bill Murray.
Per il resto solo una specie di grande gossip senza interesse.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Film privo di spessore e a volte anche noioso. La voce fuori campo risulta stonata e spesso inutile. Sembra che il regista sia indeciso se raccontarci le avventure extraconiugali e i vizi del presidente oppure la visita dei reali d’Inghilterra nella loro “ex colonia” percepita come popolata da immigrati di ogni tipo e da selvaggi.
La figura di FDR che ne esce è quella di un vecchio godurioso e nullafacente preoccupato solo di soddisfare le proprie voglie e totalmente avulso dal contesto politico mondiale e dalle responsabilità di governo.
Non mi aspettavo una biografia fedele o il resoconto di un evento storico ma neanche una inutile dissacrazione del presidente e una vacua ridicolizzazione della coppia reale.
Per gli inglesi questo film è molto divertente? Buon per loro.
P.S.: gli Stati Uniti sono entrati in guerra nel dicembre del 1941 dopo l’attacco a Pearl Harbor e non a seguito delle pressioni della Gran Bretagna del 1939.
Giorgio Tacconi tacconigiorgio@fastwebnet.it
Provo un pizzico di
rammarico a scrivere questo breve commento, di certo non plaudente,
al film...
Nonostante siano numerosi gli spunti culturali, storici e sociali,
premonitori di un sistema politico che verrà ... Gli argomenti messi
sul piatto, sono alcuni appena accennati, altri più approfonditi,
mai in grado di coinvolgere la mia percezione in modo continuo.
Interessante per esempio che il regista: ponga risalto al confronto
sulla disabilità che caratterizza i due uomini più potenti della
terra; evidenzi il ruolo femminile, agito per tramite delle due
mogli; ordisca inoltre la poderosa differenza culturale tra le due
grandi Nazioni e passatemi il termine, l'evidente e insostenibile
leggerezzadi coloro che le guerre, le crisi le vivono, parlandone al
microfono e nella stanza dei bottoni o in giardino con l'hot doh.
Ultima nota di colore in tutti i sensi, è la performance degli
indiani d'America, chiamati come giullari a corte a esibire la
propria caricatura. Mette a disagio! E' probabile che la regia abbia
riprodotto fedelmente attraverso la scena, il sentimento di allora
... Questo però non addolcisce il boccone amaro, anzi ci catapulta
immediatamente nell'attualità nostrana, razzista e leghista. Poi ad
un tratto il respiro si allarga, gli occhi si illuminano, vedono
sconfinati campi di fiori, una natura locale rigogliosa... , anche
lei però viene calpestata da una sorta di cupidigia, espressa dalle
vetture e da coloro che sono trasportati.
Quasi tutto il film è girato in interni, puro stile kitscamericano.
Anche Quartet ha origini teatrali (è molto dentro ...) ma certamente
ha natali più nobili.
Ogni tanto fa bene misurarsi anche con questi film, educano a
percorrere la valutazione attraverso un processo sottrattivo.
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
UN GIORNO DEVI ANDARE
Giorgio Diritti non delude mai.
Questa volta ci ha proposto un film più complesso, con molti temi in
gioco: dall'incapacità della religione ad affrontare problemi reali allo
sfruttamento dei poverissimi, dal dolore intimo e personale a quello
globale di intere popolazioni.
Tutto è poi immerso in un paesaggio immenso, talvolta splendidoe altre
volte spaventoso.
E' stato partricolarmente utile lo scambio di pareri alla fine del film
per andare più a fondo nella comprensione dello stesso: comunque ritengo
sarà meglio rivederlo per gustare maggiormente la bellezza di tante
scene.
Come sempre alla fine delle sue pellicole non mancano la speranza e la
possibilità di rinascita e rinnovamento.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
Fillm intimista ed intenso non semplice né
lineare. Decisamente al femminile, dove gli uomini appaiono come delle
comparse, litigiosi, opportunisti e pronti al compromesso.
Complessivamente bello e coinvolgente con una lentezza che a mio parere
non disturba.
Forse eccessivamente documentarista mentre il continuo scambio
Italia/Amazzonia crea a volte qualche disorientamento.
Dominato dal tema della sofferenza e della religione, la quale però,
così come è presentata, non sembra in grado di dare risposte adeguate
(vedi: “Gesù è venuto a portare la salvezza; ma la salvezza da che
cosa?” Oppure: “ a questa gente bisogna prima trapiantare il cervello”,
ecc.).
Allora il riscatto (cioè questa volta si, la salvezza) sembra passare
attraverso la rinascita dopo una sorta di quarantena passata nel
“deserto”.
Giorgio Tacconi
tacconigiorgio@fastwebnet.it
Film di rara bellezza interiore, anche se
Diritti con i suoi lavori ci ha abituato a tanta grazia d'anima. Un
monumento alla spiritualità della vita, quella di ciascuno.
La metafora è la stessa del viaggio iniziatico, del pellegrinaggio che
attraversa il grande fiume esistenziale, attorniato da una Natura tanto
meravigliosa, quanto prepotente nelle suo varie espressioni.
La pellicola alterna quiete e tempesta, tenebre e luce, densità e vuoto,
Terra e Cielo. Dolore, morte sono i veri conduttori dell'avanzare, sono
il pretesto che la vita utilizza per permetterci di evolvere.
Ecco che allora la redenzione è interpretata quale prodotto di
combustione della sofferenza esistenziale ...
Di vita in vita, di dolore in dolore, l'umanità crescerà verso il Cielo
perché avrà accolto il seme che il Grande Mendicante, Dio le avrà
lasciato!
In questa concezione e evidente che le donne hanno la parte da
protagonista, ça va sans dire , gli uomini invece restano sullo sfondo,
in un ruolo da spettatori, malevoli e/o benevoli, talvolta attivi ... La
terra è Madre, al Cielo è necessario pervenire! I bambini li percepisco
come terra promessa, gioia futura, speranza di vita nonostante tutto ...
Sono la vittoria sulla morte!
Anche il film "L'uomo che verrà" ("Un giorno devi andare" mi suggerisce
una sorta di film di continuità) terminava con quella immagine così
commuovente di una bambina orfana seduta sul ramo di un albero a forma
di anfiteatro che guardava lontano ...!
... Ma allora vuol dire, che se ci sono registi che realizzano questi
film e persone che li vanno a vedere e ne parlano fra di loro ...
l'Umanità ha deciso di conservare il seme della vita!
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
TUTTI PAZZI PER ROSE
Un’ altro film meritevole, di eccellente
fattura che per me assolve al precetto di cui sopra … Riuscire a
illuminare lo sguardo interiore di chi lo vede.
Come diceva mio marito mentre uscivamo dal cinema, il regista attraverso
la vita di Rose … Così puntualmente ricostruita, ha raccontato come
l’esperienza storica e sociale di allora (che oggi a noi può apparire un
po’ banale) abbia costituito ineluttabilmente le fondamenta per
l’attuale sviluppo economico tecnologico, ne abbia condizionato gli
indirizzi politico e finanziari.
In chiosa, viene da dire che se i film visti al cineforum sono anche
soltanto capaci di promuovere la riflessione tra le persone, dentro al
cinema e fuori … Già si avvera una delle tante alchimie che il cinema è
in grado concepire.
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
Il
film è carino e accattivante, ma nulla di più.
Mi è sembrato troppo sdolcinato, con la protagonista eccessivamente
provinciale e la figura maschile così rigida nelle sue manie da arrivare
alla caricatura.
Buoni gli arredi, i vestiti e le ambientazioni, ma il tutto mi ricordava
molto i film di quell'epoca con Doris Day. Troppo lunghe anche le scene
delle gare di dattilografia.
Nel complesso non mi è sembrato nella migliore tradizione dei film
francesi, che in genere amo molto.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
LA MIGLIORE OFFERTA
Ottimo film – ben congeniato e articolato.
Il regista accompagna la sua creatura attraverso generi cinematografici
differenti, sorprendendo più volte lo spettatore.
Ma il potere taumaturgico del film per me, risiede nella mirabile
capacità esplicativa del significato ineluttabile della legge karmica ad
uso degli occidentali.
Esprimere questa considerazione particolare circa il film di Tornatore,
mi serve inoltre a introdurre una riflessione più generale che potrebbe
riferirsi a parecchi film, più verosimilmente i film proiettati durante
il nostro Cineforum.
I film in questione sono appunto tutti quelli che considero intelligenti
e perciò, realizzati non soltanto a scopo benefico lucrativo.
Credo che dentro la trama profonda e misteriosa di ognuno di questi
film, ci sia un messaggio profetico, spirituale … in grado di schiarire
lo sguardo di tutti coloro che riescono a percepirlo.
Rita Ferrandi - ferrandi.rita@fastwebnet.it
E' un film interessante, ma non emozionante.
La trama è macchinosa e talvolta poco chiara: il finale, geniale come
colpo di teatro, dà
sostanza ad una serie di avvenimenti che sembrano trascinarsi un po'
troppo.
E' molto ben studiato, le scene sono perfette, ottimo l'interprete
principale, ma nel complesso mi è parso un po' freddo, calcolato, come
la trappola tesa al povero banditore.
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it
QUARTET
Mi è piaciuto molto questo primo film da
regista di Dustin Hoffman.
Certo la trama e lieve e non pretende di insegnare niente, ma tutto è
godibilissimo.
Naturalmente la colonna sonora la fa da padrona, ma anche le battute
sono gradevoli e argute e questi visi stagionati hanno un fascino
indiscutibile.
E' un film che potrei vedere e rivedere molte volte con uguale piacere
Maria Cristina Cinquemani macri5@fastwebnet.it