La critica |
La Stampa (8/11/2002) Alessandra Levantesi |
Per la giornata di inaugurazione del TorinoFilmFestival, una rassegna che ama coniugare il prodotto di genere hollywoodiano con le sofisticate prove d´autore europee, non si poteva pensare ad un film più intonato di «Insomnia». Diretto dall´inglese Christopher Nolan è il rifacimento di una pellicola norvegese del 1997, che si era segnalata per l´originalità dell´ambientazione, l´atmosfera e l´intensa interpretazione di Stellan Skarsgard. Tuttavia in questa variazione americana, se Nolan conferma il talento dimostrato con il precedente «Memento», il protagonista è Al Pacino: un attore sublime che da qualche tempo lavora a mettere a punto personaggi la cui deriva spirituale si riflette in quella fisica fino a coincidere; e forse mai il famoso Metodo ha trovato applicazione più radicale. In «Insomnia» è un detective di Los Angeles che approda a Nightmute per aiutare la polizia locale a risolvere un brutale caso di omicidio. Nello sperduto borgo dell´Alaska durante l´estate il sole non tramonta mai e al poliziotto, che vediamo scendere da un bimotore già esausto e inquieto, la luce implacabile di Mezzanotte crea un ulteriore senso di spaesamento. Poi succede ciò che non doveva succedere. Inseguendo nella nebbia il presunto assassino, cui ha teso una trappola, Al spara e uccide il collega Martin Donovan. Involontariamente? Proprio su questo interrogativo si sviluppa il thriller perché scopriamo che la morte di Donovan toglie di mezzo il principale testimone d´accusa in un´inchiesta a carico di Pacino, sospettato di aver fabbricato una prova falsa per incastrare un pedofilo omicida. Mentre l´ispettore cerca di tirarsi fuori dal guaio gettando la colpa sull´ignoto killer, questi che ha visto tutto gli propone un incontro. «Siamo sulla stessa barca» assicura Robin Williams a Pacino quando, verso la metà del film, sono finalmente di fronte. E il poliziotto quasi si convince che anche l´altro ha forse ucciso per un dannato caso, come è capitato a lui, e sembrerebbe propenso a trovare una soluzione che salvi tutti e due. In questa fase il racconto assume uno spessore dostoevskiano, che Pacino e Williams mettono in luce con emozionato impegno recitativo. E´ difficile vedere due attori tanto diversi, il primo formatosi su Shakespeare e l´altro nel cabaret, tenersi testa con pari efficacia in un memorabile duetto che potrebbe portarli dalle parti dell´Oscar. E non è da trascurare la bella prestazione di Hilary Swank, la brava poliziotta locale che al contrario di Pacino è ancora idealista. Anche se andando avanti il racconto scivola sui binari più convenzionali del cinema di consumo, «Insomnia» resta un film avvincente, rarefatto e insolito. |
Corriere della Sera (9/11/2002) Maurizio Porro |
Sole a mezzanotte per Al Pacino, detective di Los Angeles con qualche scheletro nell'armadio che arriva in Alaska con un giovane collega per trovare chi ha ucciso una 17enne. Clima chiaro, ma buio pesto nelle indagini: un giorno, in un agguato, il n ostro uccide per sbaglio (o lo desiderava inconsciamente?) l'altro poliziotto, ma la colpa va sul conto di un uomo che fugge nella nebbia e sull'acqua. Inizia il match di Pacino con la propria amletica coscienza e con un senso di colpa che fiorisce insieme alla Insomnia del titolo, finché qualcuno lo avverte di essere al corrente. Inizia il classico gioco tra i presunti colpevoli che si rimbalzano i propri delitti senza castighi, mentre la detective locale (la Hilary Swank en travesti di Boy's don't cry) cerca un suo ruolo. Con gli occhi sempre più pesti perché non chiude occhio da giorni, il poveretto affronterà il redderationem del thriller. Remake di un film norvegese di Erik Skjoldbjaerg del ' 97, il nuovo film dell'inglese di talento Christopher Nolan conferma trattarsi di un autore che sa confondere bene le acque, i tempi e le coscienze e si trova a proprio agio navigando nel perverso dell'inconscio. Abbacinato nel bianco on the rocks, il giallo è un omaggio all'assassino chiuso in noi, ma è anche una portentosa sfida di primi attori. Pacino così magnificamente depresso, in sfida con la propria verità rimossa, e Robin Williams passato dalla parte dei cattivi con un'ironia sorniona e cinica di altissima classe (è lui che vince ai punti). L'Alaska è bellissima, anche se qui usa come controfigura la British Columbia canadese. |
Film TV (12/11/2002) Emanuela Martini |
Se c'è qualcosa di cui Christopher Nolan é certamente consapevole é i fatto di essere bravo: sa dove piazzare la macchina da presa, sa fare movimenti ampi e giocare con angolature distorte, sa riprendere paesaggi imponenti con evidente intenzioni metaforiche. Ne é talmente consapevole da non fermarsi mai a chiedersi (almeno non lo ha fatto in questi suoi primi tre film) se non sarebbe il caso di mettere, dietro a tutta questa esibizione formalistica, un po' di anima. Il suo modello evidente (quasi dichiarato nel primo film, "Following") é 0rson Welles, il noir del maestro che cela e riflette tortuosi meandri del potere e della psiche, I suoi personaggi hanno sempre qualche disturbo che li renda "wellesiani postmoderni": l'amnesia il protagonista di "Memento", l'insonnia il poliziotto Al Pacino in questo "Insomnia". L'impressione perciò é che, sotto l'intreccio poliziesco, ci sia molto di più, una percezione distorta del mondo, il passato che ritorna, comunque l'impossibilità di leggere la realtà se non sotto la scorza della finzione o della "malattia", il gioco funzionava in "Memento" (che era fin troppo programmaticamente "a spirale"), ma mostra la corda in questo film, dove la narrazione si apre a un contesto in qualche modo "realistico" e meno ossessivo (l'insonnia in realtà non ha un'evidenza visiva e visionaria e serve solo a far strizzare gli occhi a Pacino, questa volta servito male, letterariamente, dal doppiaggio di Giannini).E quindi, la mancanza dell'anima, di una passione o di un interesse per i personaggi, salta agli occhi. Nel vedere questo poliziotto assillato dai dubbi sull'etica del suo lavoro, stretto tra fini e mezzi, vengono subito in mente "La promessa" di Sean Penn e i romanzi della Factory di Derek Raymond, dove i protagonisti e le vittime grondano davvero sangue e dolore. E "Insomnia", con il suo gelo da Alaska, si ridimensiona all'esercizio un po' presuntuoso di un "diplomato" al Sundance. |
la Repubblica (30/11/2002) Roberto Nepoti |
Ispettore di polizia circondato da un'aura di leggenda, Al Pacino in Insomnia atterra in uno sperduto villaggio dell'Alaska per indagare sull'omicidio di una diciassettenne. Nella sua lunga carriera ha visto di tutto e di più; però il peggio deve ancora arrivare. Durante un inseguimento il poliziotto ferisce a morte il compagno di squadra. Tormentato dai rimorsi, l'ispettore perde il sonno, finché realtà e immaginazione si confondono ed egli comincia a chiedersi se l'incidente non sia, in realtà, un delitto inconscio. A conciliargli il sonno non contribuisce l'assassino della ragazza, lo scrittore di romanzi gialli Robin Williams, il quale gli propone un lurido patto di omertà. Alcuni film americani puntano le proprie seduzioni su binomi bene assortiti di star; altri si fanno notare per un clima particolare; altri ancora contano su una solida sceneggiatura e buoni dialoghi. E' raro, però, trovare tutti questi requisiti riuniti in un colpo solo come accade nel nuovo film di Christopher Nolan, già promosso regista di culto per "Memento". Il soggetto è la copia di un originale europeo del '97, diretto da Erik Skjoldbjaerg, ma ricollocato in Alaska. Assai più complesso della media del genere, Insomnia è imperniato su un conflitto morale, sulla zona di confine in cui i princìpi etici cominciano a vacillare e a confondersi. Ineccepibile, la scelta degli interpreti dà luogo a una doppia performance di gran classe. Pacino celebra il picco di una carriera cinematografica di poliziotto iniziata, quasi trent'anni fa, con Serpico: sembra tantopiù bravo quanto più è stanco, stropicciato, deluso dalla vita. Ma la vera sorpresa è Williams, che si ricicla in una parte di cattivo dando vita a un carattere di psicopatico fragile ma minaccioso che non ha troppo da invidiare alla superstar Hannibal. |
l'Unità (8/11/2002) Alberto Crespi |
É bello essere tornati a Torino. Anche se tutto é cambiato, o sta cambiando. Abbandonate le vecchie sedi del centro, il Torino Film Festival si é trasferito nella multisala Pathé del Lingotto, che sarà la sua casa fino al 15 novembre (in teoria sarà possibile vivere dentro la vecchia fabbrica Fiat per tutti i 9 giorni di festival: il che é doppiamente spiazzante, se si pensa al carico di memoria anche dolorosa che il Lingotto porta con sé in questi tempi di crisi della casa madre). Inoltre, il direttore Stefano Della Casa - che con Gianni Rondolino e Alberto Barbera é l'anima del festival fin dai primordi, dall'anno 1982 - ha già annunciato che questa é la sua ultima edizione, dal 2003 si dedicherà ad altro. Auguri ma diciamolo fin d'ora a scanso di equivoci: senza lui, né Barbera, il festival di Torino non sarà più la stessa cosa. Ci sarà molta America a Torino 2002; la sezione Americana, gli omaggi a John Milius e a John Ford. Ed è americano anche il film che ha aperto il festival, Insomnia: un fior di thriller con AI Pacino e Robin Williams, e scusate se é poco. A dire il vero il regista é inglese (il Christopher Nolan di Memento), ma la storia si svolge negli abbacinanti paesaggi dell'Alaska nei giorni del sole di mezzanotte, da cui il titolo: Al Pacino, esposto alla luce 24 ore su 24, non riesce mai a dormire. Il film è da oggi nelle sale, ed é altamente consigliabile, anche sapendo che si tratta di un remake, per altro confessato: nel '97 era uscito un film norvegese, omonimo, diretto da Erik Skjoldbjaerg. Anche lì, si raccontava di due detective che da Oslo si trasferivano nell'estremo Nord del paese per indagare sull'omicidio di una ragazza da parte di un maniaco. La sceneggiatrice Hillary Seitz non ha dovuto sforzarsi più di tanto: ora gli sbirri vengono da Los Angeles e sbarcano in idrovolante nella cittadina di Nightmute, dove, nonostante la parola "night" (notte) nel nome, é sempre giorno. Pacino é Will Dormer, famoso per aver catturato numerosi killer Martin Donovan é il suo collega Hap Eckhart; con il quale Will ha non pochi problemi (alcune loro indagini sono sotto inchiesta alla centrale, Hap vorrebbe patteggiare ma così facendo metterebbe nei guai il collega); Hilary Swank (Oscar per Boys Don't Cry) é una giovane poliziotta locale che ovviamente pende dalle labbra di Will. La morta é una ragazza del posto, irrequieta, spesso malmenata dal fidanzato e ricoperta di regali costosi da un uomo misterioso. Quando viene ritrovato il suo zainetto, la polizia lo lascia sul posto a mo' di esca, e organizza un agguato; un uomo viene effettivamente a recuperarlo, ma sfugge; inseguendolo nella nebbia, Will intravede una sagoma, spara credendo di colpire l'assassino ma uccide Hap. É una disgrazia, certo; ma forse é anche ciò che l'inconscio di Will desiderava. Sta di fatto che il vecchio detective non dice nulla ai colleghi, tutti convinti che sia stato il fuggiasco a far fuoco. Nelle successive notti insonni, Will fa i conti con la propria coscienza, sicuro però che nessuno l'abbia visto: finché non riceve la telefonata di un uomo: "io ho ucciso una ragazza, tu hai ucciso un collegai potremmo metterci d'accordo". Vi abbiamo raccontato i primi 40 minuti: il resto é un sottile duello psicologico fra uno sbirro e un assassino che hanno entrambi un morto sulla coscienza. Inutile dire che gran parte del film si regge su un altro duello, quello fra due pesi massimi della recitazione come Pacino e Williams, entrambi superlativi. Il resto, lo fa l'Alaska (per altro interpretata dalla British Columbia canadese), con i laghi, i ghiacciai ed il sole perenne che fa impazzire i losangelini. Nolan non forza la struttura narrativa come in Memento (che era raccontato alla rovescia, dalla fine all'inizio) ma si conferma un regista insinuante e sanamente perverso. Tra i film in uscita, Insomnia é una garanzia di solido intrattenimento. |
Sole 24 Ore (21/11/2002) Roberto Escobar |
C'è troppa luce nel bianco dei ghiacci che circondano Nightmute, e nella sua notte sempre accesa. Ce n'è troppa nella stanza d'albergo di Will Dormer (Al Pacino), con quella finestra esposta senza difese a un sole ostinato. E ce n'è troppa nella sua memoria di poliziotto, nei suoi occhi che non si arrendono al sonno. Questo è il cuore di Insomnia (Usa, 2002, 118'): questa sconfitta della notte, questa veglia senza tregua. Come accade, o come accadeva, per il grande cinema americano - che sa, o che sapeva, esser popolare e insieme profondo -, il bel film di Christopher Nolan chiede due livelli di lettura. Il primo, immediato, è quello del racconto di genere: un poliziesco in cui le atmosfere valgono almeno quanto l'intreccio. Il secondo, più ambizioso, è quello dell'introspezione, dell'argomentazione morale. Chi è Will, oltre che un poliziotto famoso e un accanito investigatore? «Io sono quello che attribuisce le colpe»: così si definisce lui stesso, nella sceneggiatura che Hillary Seitz trae da quella scritta da Nikolaj Frobelnius ed Erik Skjoldbjaerg per un film norvegese del 1997 (Insomnia, regia dello stesso Skjoldbjaerg). Così ha fatto Will per gran parte della sua vita, e così fa a Nightmute: assume su di sé l'onere di migliorare il mondo, di liberarlo se non dalla colpa almeno dai colpevoli. Il centro del racconto di genere sta qui: per la prima volta, Will non è solo quello che attribuisce le colpe, ma un colpevole egli stesso, e la sua storia di vita rischia d'esserne ridotta a niente. Ad aumentare la sua angoscia c'è l'ammirazione che ha per lui, poliziotto perfetto, la giovane Ellie Burr (Hilary Swank). Per quanto Will cerchi di sottrarsi al ruolo di ideale e modello, la donna resta per lui uno specchio doloroso. Su di esso misura la distanza tra l'immagine che di se stesso ha coltivato a lungo e il se stesso che ora è costretto a vedere. Accanto a Will c'è Walter Finch (Robin Williams), l'antagonista in senso pieno, l'immagine rovesciata di Will: da lui tanto distante e a lui tanto vicino quanto lo può essere un'immagine rovesciata. In fondo, Walter fa il suo stesso mestiere, per quanto solo nei suoi romanzi. Forse per questo, per l'illusione di onnipotenza che ha coltivato nella scrittura, immagina di poterlo fare senza vincoli e senza limiti. Ha ucciso, Walter, ma rifiuta di riconoscersi colpevole, abituato com'è a imputarla ad altri, la colpa. E questo rifiuto inutilmente cerca di suscitare anche in Will, che è a lui appunto "vicino" nella tentazione di autoassolversi, e che lo potrebbe fare con motivazioni certo più forti delle sue. Quanto al colpo di pistola che ha ucciso il suo compagno Hap Eckhart (Martin Donovan), infatti, ben potrebbe convincersi d'averlo esploso solo per errore. Ma Will è anche "lontano" da Walter, dalla sua presunzione esistenziale, dal suo delirio d'onnipotenza. D'altra parte, la colpa che soprattutto lo tormenta, e che lo costringe alla veglia con l'ostinazione d'un sole sempre acceso, è quella d'aver forzato nella sua camera vincoli e limiti, pur di migliorare il mondo. Anche ora, con Walter, si convince d'averne diritto, per quanto proprio così si consegni nelle mani del suo antagonista, fin quasi a identificarsi con lui, come lui sporco di sangue (ripugnante è il suo frugare in una carogna, pur di attribuire all'assassino una colpa cui altrimenti quello si sottrarrebbe; e ancora più potente è l'immagine del sangue di cui s'è lordato nel passato, disseminando di prove false l'appartamento di un colpevole "vero"). L'insonnia di Will, dunque, è molto più che il sintomo d'un fallimento professionale imminente. I suoi occhi non riescono a chiudersi soprattutto perché hanno preteso di veder troppo. Nella presunzione tipica di chi supponga d'esser chiamato a migliorare il mondo, li ha caricati del peso d'ogni colpa e dell'onere d'ogni salvezza, saturandoli delle immagini più insostenibili e disumane (infatti, in quel che resta d'una adolescente vede addirittura la storia del suo assassinio). E così li ha paralizzati con un eccesso di luce. Li ha costretti a restare spalancati, senza potersi più perdere nell'ombra. Questo sono per lui il bianco dei ghiacci che circondano Nightmute, la luce che i vetri della camera non riescono a fermare, il sole che si ostina a non tramontare: sono il sintomo di una cecità paradossale, una cecità che potrà guarire solo quando, abbandonata la presunzione d'essere «quello che attribuisce le colpe», accetterà d'esser solo un poliziotto, solo un uomo che riconosce e aspetta vincoli giuridici e limiti morali. E a quel punto ben potrà lasciar cadere le palpebre, così abbandonandosi alla notte. |
il Giornale Nuovo (9/11/2002) Adriano De Carlo |
Insomnia venne presentato al festival di Locarno, in agosto, ma vale la pena di riparlarne. Si tratta di un thriller adulto, a volte logorroico, ma acceso ed incalzante. È la storia del detective di Los Angeles Will Dormer (un nome che per noi italiani segna un curiosa coincidenza visto il titolo del film), spedito in Alaska con il collega Hap (Martin Donovan), per indagare sull'omicidio di una diciassettenne. Il poliziotto, già stressato per quanto il dipartimento di polizia sta disponendo nei suoi confronti, cade in una sorta di depressione, aggravata dalla luce perenne del Circolo polare artico. Ai due poliziotti metropolitani si aggiunge Ellie Burr (Hilary Swank), una graziosa poliziotta locale, ammiratrice di Dormer, dotata di notevole perspicacia, mascherata dall'aria da ingenua. Dormer sospetta fortemente dello scrittore di gialli Walter Finch (Robin Williams). Durante un inseguimento, in una zona desolata e nebbiosa, sulle tracce del presunto assassino, Hap rimane ucciso. Finch si mette in contatto con Dormer e stabilisce con lui un rapporto di complicità, nel quale le sottigliezze dialettiche dello scrittore si intrecciano con l'intelligenza metropolitana del sempre più stanco Dormer. Tutto quanto accade in seguito è il frutto di convergenze tutt'altro che parallele. E con ciò il regista Christopher Nolan conferma il suo talento dopo il suo vero esordio, avvenuto due anni fa con il sorprendente Memento, un puzzle di qualità, che giocava come in questo caso sulle atmosfere e sull'ingegneria della trama. Nolan in realtà aveva già realizzato il suo primo film nel 1998, Following, del quale non si hanno tracce. L'aver ambientato la vicenda in Alaska consente alla sceneggiatura di sfruttare un ambiente naturale quanto inedito. Quei paesaggi belli e terribili, dove la mente vacilla nel biancore circostante, aggiungono un'impalpabile senso di disperazione, che Al Pacino non si fa sfuggire, mettendo in moto il suo istrionismo sonnolento, doppiato ancora una volta da Giancarlo Giannini. Realizzato con notevole personalità, il film di Nolan non si fa sfuggire alcun rumore che possa aggiungere inquietudine e dissemina il racconto di particolari allarmanti. La contrapposizione tra due giganti dello schermo come Pacino e Williams è stimolante oltre che sorprendente. Alla recitazione fisica di Pacino, esperto di anime in disarmo, si oppone quella sottilmente frenata del più raffinato Williams, che essendo un attore amatissimo per quel surplus di buonismo che ha diligentemente e autorevolmente dispensato fino ad ora, nella parte del cattivo trova accenti e modi non dissimili da quelli di Hannibal Lecter: capita talvolta agli attori brillanti. Un thriller intelligente, con un'ambientazione diversa, dove regista, attori e sceneggiatori possono uscire alla ribalta inchinandosi al pubblico senza timore. |
Il Resto del Carlino (10/11/2002) Alfredo Boccioletti |
L'originalità della seconda perla di stagione del superattivo Al Pacino sta tutta nella legge del contrappasso applicata a uno sbirro. Se un tempo, nelle centrali di polizia, i ragazzi del coro si alternavano in estenuanti interrogatori a oltranza al termine dei quali gli indiziati, torturati dal sonno, vuotavano il sacco, nel film dell'inglese Christopher Nolan quello condannato a non chiudere occhio è il detective Will Dormer. A metterlo sotto il torchio sono il senso di colpa e il sole di mezzanotte, che in estate, nei pressi del circolo polare artico, disturba i bioritmi più del cambio di fuso orario. Eroe del distretto di Los Angeles indagato dagli affari interni per certe prove raccolte in modo sospetto, Dormer viene spedito in Alaska insieme a un collega coinvolto nella stessa inchiesta e deciso a patteggiare. Lassù, nel paesaggio spettrale di un piccolo centro per la pesca d'altura, gli specialisti della metropoli devono aiutare la polizia locale a stanare l'assassino di una ragazza di 17 anni. L'uomo, che ha cancellato (o quasi) ogni traccia del delitto, cade stranamente in un tranello predisposto da Dormer attraverso i notiziari radio e tv. Ma l'agguato dei poliziotti in una baita avvolta dalla nebbia va storto; e la preda, uno scrittore di gialli di serie Z (Robin Williams), si trasforma in uno scomodo testimone uccel di bosco. Dormer, che nella sparatoria ha ucciso il collega pronto ad inguaiarlo, viene infatti ricattato. Tutto il secondo tempo del film è giocato sul confronto ad alta tensione tra l'omicida della ragazza, che pretende la comprensione di un suo «simile», e il poliziotto in preda ad allucinazioni progressive per effetto dell'insonnia, ormai sul punto di assecondarlo. Nella sfida si inserisce Ellie (Hillary Swank, premio Oscar per Boys don't cry), giovane investigatrice del luogo che, come gli spettatori, è combattuta tra l'ammirazione per il leggendario Dormer e gli scrupoli morali. Nolan (Memento) è abile nel sostenere il ritmo dell'azione in sincronia con l'intrigante metamorfosi di Al Pacino, ma dispensa gelo sul profilo beatamente criminale di Williams e lungo l'intera sottotraccia investigativa. |
Il Giorno (9/11/2002) Silvio Danese |
La fragilità della detection, incarnata da un handicap del detective, interessa molto Nolan, autore del complesso e affascinante noir "Memento". Qui Pacino, autorevole veterano del Fbi, indaga in Alaska dove il "sole di mezzanotte" gli provoca insonnia, distonia, allucinazioni. Nella nebbia, scambia un collega, con cui ha dei conti in sospeso, per il fuggiasco omicida di una ragazzina, e lo uccide. Non c'era intenzione? Qual è il limite dell'inconsapevolezza di un'azione e del vero stato di coscienza? Sono le domande che, secondo strategia, gli instilla il presunto vero omicida della ragazzina, un pacato, inquietante scrittore di gialli che Williams interpreta come un Hannibal della porta accanto col fiore in bocca. La specularità poliziotto-assassino riprende l'archetipico "Manhunter" e ricalca, nella mitologia mattatoriale, il faccia a faccia tra Pacino e De Niro di "Heat". La disfacente personalità del detective, nella fusione permanente tra giorno e notte, rende però tutto nuovo ribaltando l'atmosfera chiaro-scura del 'noir' classico. |