La critica


La Stampa (2/2/2002)
Alessandra Levantesi

Da «Doppio sogno» di Schnitzler, ovvero «Eyes Wide Shut» di Kubrick, alla caduta libera nella spirale di incubi di «Vanilla Sky», ovvero la versione hollywoodiana di «Apri gli occhi» dello spagnolo Alejandro Amenábar, la vita di Tom Cruise sembra governata dalle imperscrutabili pulsioni dell´inconscio. Basti pensare che fra un chiudersi e uno spalancarsi di occhi del divo è passata la chiacchieratissima rottura del suo matrimonio con Nicole Kidman e l´altrettanto strombazzata nascita del nuovo amore con Penelope Cruz, protagonista di «Vanilla Sky»; il tutto mentre, proprio sotto la guida di Amenábar, l´ex moglie Nicole interpretava squisitamente il suggestivo «The Others». Scherzi a parte, l´attore ha dimostrato un bel coraggio ad acquistare i diritti di una storia costruita su una teoria di sogni incastrati l´uno dentro l´altro come scatolette cinesi, cosicché lo spettatore non sa più che quello che vede è vero o finto. Era un materiale che si poteva temere di marca troppo sofisticata per il botteghino USA e invece Tom ha vinto la sfida con un incasso di circa 100 milioni di dollari in sei settimane. Bello, giovane e ricchissimo erede di un impero editoriale, David ha tutto, ma alla sua vita fortunata manca quel tanto d´amaro che gliene faccia gustare la dolcezza. In pratica, il giovanotto conduce un´esistenza dissipata e irresponsabile, in un susseguirsi di effimere passioni che mai arrivano a trasformarsi in amore finché non conosce la bruna Sofia. Purtroppo l´amante in carica, la bionda Julie (Cameron Diaz) non è disposta a perderlo e lo coinvolge in un incidente nel quale lei muore e lui rimane sfigurato. Il ritorno in scena di Sofia e una plastica facciale sembrano riportare la normalità, tuttavia per David realtà e sogno continuano a confondersi. Ci scappa un omicidio, interviene uno psicanalista (Kurt Russell): e se fosse solo sogno? Ambientato in una cornice newyorkese onirica, costellata di citazioni cinematografico/pittorico/musicali, «Vanilla Sky» è diretto con elegante abilità e in spirito di fedeltà da Cameron Crowe («Almost Famous»). A partire da Cruise, il cast è ottimo e per la Cruz questa è la migliore prestazione da quando è a Los Angeles, resta da dire che un film del genere può, a seconda dei temperamenti, tanto affascinare quanto apparire una grossa bischerata.



Corriere della Sera (2/2/2002)
Tullio Kezich

Il riso abbonda sulle labbra di Tom Cruise per tutta la prima parte di «Vanilla Sky», ma poi si trasforma nel ghigno di un volto orrendamente sfigurato. In verità ci sarebbe poco da ridere sui casi di questo povero ragazzo ricco, che avendo ereditato una grande casa editrice deve combattere contro i «sette nani» del consiglio di amministrazione. Lo ritroviamo poi in galera accusato di omicidio senza sapere (non lo sa neanche lui) quale delle sue amanti ha ucciso: la bionda Cameron Diaz o la bruna Penelope Cruz? Sciancato alla Quasimodo e sfregiato, il divo ci guadagna in espressività. Qui lo dico e qui lo nego, «Vanilla Sky» mi è sembrato un film stupidissimo. Oso pronunciarmi perché fra vent’anni, quando la pellicola di Cameron Crowe sarà magari assurta fra i classici del cinema in coppia con l’archetipo spagnolo «Apri gli occhi» (1998) di Alejandro Amenabar, sarò altrove e non dovrò rispondere di leso capolavoro. Intessuto di citazioni da «Sabrina» e «Il buio oltre la siepe», di manifesti della Nouvelle Vague e di una apparizione quasi subliminare di Steven Spielberg a una festa, vi si può leggere la conferma che la cinefilia sulla stupidità ci sta come il cacio sui maccheroni. Più interessante di quel che succede sullo schermo dev’essere ciò che è avvenuto dietro: l’infatuazione di Cruise e Nicole Kidman, ancora considerati la coppia più bella del mondo, per il giovane Amenabar e il suo film; la decisione comune di rifarselo in Usa; lei che entra da protagonista nell’horror dello spagnolo «The Others», la clamorosa rottura del matrimonio, la decisione di Tom che recupera da «Apri gli occhi» Penelope Cruz, l’innamoramento per quest’ultima... Sarebbe davvero appassionante apprendere tutti i veri retroscena, puntualizzare il girotondo dei sentimenti e delle scelte artistiche e amorose. Premiato dal pubblico americano nonostante il suo contorto intellettualismo, «Vanilla Sky» è un prodotto intrigante, qualcosa di cui si continuerà a discutere. Forse non è neppure tanto brutto come mi è parso a botta calda; e ho la sensazione che certe immagini (vedi quel sogno iniziale di Cruise che attraversa in Ferrari una New York ridotta a un deserto) mi accompagneranno per un po’.



Film TV (5/2/2002)
Emanuela Martini

Compito arduo trasformare una bella storia psico-fantastica, sufficientemente involuta e inspiegata, come quella scritta da Alejandro Amenàbar e Mateo Gil per "Apri gli occhi" (diretto da Amenàbar nel '97), in un film noioso. In assoluto, é piuttosto difficile rendere faticoso, privo di tensione per almeno due terzi, un soggetto che oscilla tra sogno e realtà, thriller e fantascienza, rimpianto di ciò che non é accaduto nella vita vera e gli orrori non voluti che il sogno inanella. Soprattutto quando si abbiano a disposizione mezzi, location, attori hollywoodiani. Eppure Cameron Crowe ci, é riuscito: "Vanilla Sky" si dipana per oltre due ore con pochissimi brividi; i suoi misteri non incuriosiscono, i suoi interrogativi non angosciano, le sue malinconie non arrivano a intrecciarsi con le nostre. Certo, tutti conserviamo nel cuore la Sabrina di Audrey Hepburn e le canzoni di Bob Dylan, un poster di "Fino all'ultimo respiro" di Godard di fianco a quello di "Jules e Jim" di Truffaut, un ideale Atticus Finch come padre e il ricordo di un amore perfetto che non é mai cresciuto. Ma queste esili tracce (che probabilmente sono le più consone agli umori e alla formazione di Crowe) non bastano. La poesia non si salda con la tensione; l'impossibile non diventa mai né meraviglioso né credibile.



la Repubblica (2/2/2002)
Roberto Nepoti

All'inizio di Vanilla Sky, Tom Cruise si sveglia e apre gli occhi. Continuerà a farlo per le due ore e un quarto del film, chiedendosi con ansia crescente se quel che vede è realtà, oppure è fatto della materia di cui son fatti i sogni. Remake fedele del noir spagnolo di Alejandro Amenabar "Apri gli occhi", con azione spostata da Madrid a Manhattan ma con Penelope Cruz nella stessa parte che interpretava nell'originale, il film diretto da Cameron Crowe è costruito come un puzzle, una storia rompicapo. La udiamo dalle labbra del protagonista, David, nascoste dietro una maschera che ne cela il volto; l'ascolta con noi Kurt Russell, nel ruolo di un dottore incaricato di perizia psichiatrica. Erede di un impero editoriale, belloccio e acchiappasottane, David trova il vero amore alla festa del suo compleanno, nelle fattezze latine di Sofia (Cruz); ma la sua ex, Julie (Cameron Diaz) non la prende bene e lo trascina in un incidente stradale da cui esce sfigurato, fisicamente e psicologicamente, mentre lei ci lascia (forse) la pelle. Se la prima parte ha un tono da commedia sentimentale (su un teleschermo compaiono immagini di "Sabrina"), presto la storia vira al dramma, prima di andare a parare in un finale semifantascientifico. Nel frattempo le due donne di David hanno confuso le proprie identità, realtà e sogno si sono scambiati le parti, abbiamo visto ripetere le stesse scene, con qualche variante, e siamo stati indotti a uno slalom d'interpretazioni prima di capire che in definitiva non bisognava capire nulla: poiché l'obiettivo vero di Vanilla Sky, assai più che la spiegazione di un enigma, è la creazione di una suspense onirica che dovrebbe stregare lo spettatore facendolo dubitare delle sue stesse percezioni. Crowe si dà molto da fare per costruire un intrattenimento di qualità, benissimo fotografato, corredato di ammiccamenti al cinefilo (nell'appartamento di David compaiono locandine di "Fino all'ultimo respiro" e "Jules et Jim" ), accompagnato da una colonna musicale (McCartney, Rem, Peter Gabriel.) accattivante. Però le acrobazie tra dimensione onirica e realtà sono troppo ripetitive e lo spaesamento, alla lunga, cede il posto alla noia. In un personaggio alla "Attrazione fatale", Cameron Diaz vince ai punti su Penelope. Cruise gioca contro il suo ruolo di eterno ben ragazzo, godendo a farsi sfigurare (ma non troppo) sull'indimenticato modello del Fantasma dell'Opéra.



Sette (20/2/2002)
Claudio Carabba

Non state lì a guardare se Tom (Cruise) e Penelope (Cruz) si baciano con vera passione: non è da questi particolari che si giudica un film. A parte il dettaglio che c'è una seconda donna (Cameron Diaz), Vanilla Sky è un racconto nero che parla di delitti e di rimorsi, di corpi sfigurati e anime oscure. Col volto coperto da una maschera, chiuso in una cella buia, Tom si ricorda del tempo felice, quando era ricco e sfrontato. Il destino (la superbia forse) l'ha spinto agli inferi; l'unica via di fuga porta dritto nell'alto dei cieli. Tratto dall'allucinato Apri gli occhi, girato in Spagna dal talentoso Alejandro Amenabar (The Others), il film è un'ardita corsa a ostacoli. Alla regia Cameron Crowe si smarrisce e pasticcia un po'. Ma il volo finale dell'ascensore verso una delle porte dell'Aldilà resta vertiginoso.



l'Unità (1/2/2002)
Alberto Crespi

Quale sarà il valore aggiunto che, a Hollywood spinge a rifare un film europeo? Nel caso dei film francesi, é la brillante costruzione di copioni (come quelli di Francis Veber) che in America nessuno sa più scrivere in quel modo. Ma nel caso del giovane spagnolo Alejandro Amenabar, il cui Abre los ojos («Apri gli occhi») é stato pantografato dal team composto da Tom Cruise (attore e produttore) e Cameron Crowe (sceneggiatore e regista), quale sarà l'elemento scatenante? Fermo restando l'innamoramento a prima vista - Cruise vide Abre los ojos e dieci minuti dopo ne aveva già acquistato i diritti - viene da pensare che l'ambizioso divo e l'intellettuale regista, proveniente dal giornalismo, siano rimasti stregati, appunto, dallo spessore intellettuale. E siccome gli americani che giocano a fare gli europei possono essere pericolosissimi, se ne deduce che Vanilla Sky é un oggetto da maneggiare con molte precauzioni. Come minimo, è un film con dibattito incorporato: uscirete dal cinema domandandovi chi ha sognato che cosa, e quando, e perché, essendo la trama in precario equilibrio fra sogno e realtà. Un tema che Cruise ha frequentato in Eyes Wide Skut di Kubrick, esperienza che deve averlo segnato nella psiche al punto da volerla ripercorrere, e farsene segnare anche nel fisico: là doveva indossare una grottesca maschera da carnevale nella scena dell'orgia, qui ha spesso il volto ricoperto da una maschera di lattice e, quando se la toglie, è sfigurato. Sono quelle scommesse che agli attori piacciono un sacco: ogni divo di bell'aspetto sogna di interpretare, prima o poi, un mostro. Il volto di David Aames (Cruise) viene deturpato da un incidente d'auto. A provocarlo é la sua vecchia fiamma Julie (Cameron Diaz), folle di gelosia perché David si è innamorato di un'altra: Sofia (Penelope Cruz), solare e sensuale quanto Julie é invasiva e lievemente perversa. David é un partito appetibile ma inafferrabile: erede di un impero editoriale, é il tipico scapolo newyorkese con appartamento principesco su Central Park. Poche donne gli resistono. Anche Sofia cede quasi subito, ma sembra amare lui, non il suo denaro. Ma l'incidente in cui Julie muore, e David rimane sfregiato, sembra subito troppo strano per essere vero. Quando David si risveglia in galera, con un pezzo di gomma che gli copre la faccia e un petulante detective (Kurt Russell) che lo interroga, noi (e lui con noi) cominciamo a farci domande. Cosa é DAVVERO successo? Quando sono iniziati gli incubi dai quali David é perseguitato? A esser precisi, dalla prima sequenza: uno splendido incubo ad occhi spalancati («eyes wide shut», certo) in cui David gira per New York senza trovare un'anima per strada, fino a parcheggiare nel mezzo del crocicchio di Times Square per poi fuggire a gambe levate. Ora il critico che é in noi potrebbe barare. E in vari modi. Proseguendo nella trama, e togliendovi il gusto di scoprire chi «fa sognare» David. 0 millantando una perfetta decrittazione dell’enigma, che invece è ben lungi dall'aver raggiunto. 0, ancora, dicendovi che é tutto frutto della fantasia malata di un remake mal riuscito. Non é così. Abbiamo il sospetto che Vanilla Sky sia venuto proprio come Cruise & Crowe lo volevano. Il regista ci ha messo molto del suo, dalla chitarra di Pete Townshend appesa in casa di David (Crowe é Stato cronista rock di Rolling Stone, come ci ha raccontato nel precedente, e ottimo, Quasi famosi) ai poster di Jules et Jim e Fino allultimo respiro, fino alla toccante trovata di Cruise & Cruz fotografati come Bob Dylan e la sua ragazza sulla copertina di Freewheelin’. L'attore ci ha messo tutto se stesso: dev’essere ossessionato dalla doppiezza fra essere ed apparire, e se è meno bravo che in altri film é perché non sempre ci sono Kubrick o Pollack o Neil Jordan (che lo guidò in modo insinuante e geniale in Intervista col vampiro) a dirigerti. Vedetevi il film, sapendo che forse solo una seconda visione vi darà qualche risposta. Non é un capolavoro, ma é un oggetto di inusitato spessore per gli standard hollywoodiani di oggi. E pensare che la tematica del sogno indotto e della doppiezza della vita é squisitamente americana: Amenabar deve aver letto a fondo Philip K. Dick. Per la cronaca, il film che Cruise ha interpretato subito dopo (Minority Report di Spielberg) é tratto da Dick: è proprio un vizio.



Ciak (1/2/2002)
Marco Balbi

Si può discutere a lungo sul senso e l'opportunità di un'operazione come questa: rifare, cioè, scena per scena, il film di un altro regista. Ma una volta accettata questa logica, non si può non ammettere che quella di Cameron Crowe sia una scommessa vinta. Pur riproducendo, letteralmente, Apri gli occhi del bravo Alejandro Amenabar, Crowe è riuscito a dare una propria personalità al suo film: dalle ambientazioni newyorkesi, alle citazioni, alla colonna sonora, Vanilla Sky rischia di diventare un cult per gli amanti della cultura pop. L'inizio è senza dubbio affascinante, con la scena in cui Tom Cruise, raffinato giovane editore, vaga con la sua Ferrari per una deserta Times square: sogno o realtà? Crowe mescola subito le carte, confonde sin dall'inizio i piani narrativi: sarà questo il leit motiv dell'incubo in cui Cruise dovrà subire la vendetta di Cameron Diaz, amante occasionale che non sopporta l'idea che Tom si sia innamorato di Penelope Cruz. Tenta di ucciderlo gettandosi con la macchina da un ponte, ma lui sopravviverà, sfigurato in volto: da quel momento sarà un susseguirsi di sogni, incubi, scambi di persone e personalità che troverà spiegazione nella sequenza finale, in questo un po' più esplicativa rispetto all'originale. E questa, forse, è la parte più debole, perché toglie quell'alone di mistero che invece nel film spagnolo perdura anche dopo i titoli di coda. Così come non convincono fino in fondo le due protagoniste femminili, mentre Tom Cruise se la cava egregiamente, anche se il regista non ha avuto il coraggio di sfigurarlo più di tanto.



Duel (1/2/2002)
Mario Sesti

Pare che Tom Cruise abbia interpretato Vanilla Sky mentre il regista, Cameron Crowe, sparava per tutto il set la musica degli U2 e dei Radiohead. Ma il raffinato e insistente uso della musica nel film non è una civetteria da regista snob per ottenere la trance necessaria al lavoro degli attori: da Peter Gabriel a Paul Mc Cartney, dai Monkees ai Chemical Brothers, da Jeff Buckley a Bob Dylan, l'intero film è investito e battuto da noti brani rock che spesso sfumano l'uno nell'altro anche all'interno della stessa inquadratura. Come molti sanno - anche grazie al suo film autobiografico, Quasi famosi - Crowe è un erudito della musica rock, avendo lavorato come giornalista e critico musicale, ma nessuno può immaginarsi fino a che punto, questa scelta di stile, contenga il segreto del film: forse neanche chi ha visto Apri gli occhi, di Alejandro Amenábar, che quest'anno ha sfondato anche sul nostro mercato con The Others ma che fu quasi completamente ignorato, negli anni 90, quando presentò in Italia questo film. Vanilla Sky é il suo remake americano e conserva dell'originale la trama e Penélope Cruz, nella parte della donna che scatena una catena di conseguenze devastanti nella vita di Tom Cruise, rampollo e intraprendente erede di un impero editoriale, che abita sulla sommità di un grattacielo a Central Park West. Il fatto che viva a pochi isolati dal famoso Dakota Building dove fu girato Rosemary's Baby, dovrebbe fargli sospettare che l'inaudito è in agguato anche nella metropoli tentacolare in cui vive. Il finale, scintillante, ancora sulla sommità di un grattacielo, ricompone il puzzle rutilante e allucinatorio della sua esistenza, in maniera forse più meticolosa dell'originale. Ma, soprattutto, ci ripropone una questione che è un'autentica fobia della nostra sensibilità contemporanea, con la stessa intensità raggiunta da due film diversissimi come Matrix e Truman Show: visto che le tecnologie sono perfettamente in grado di sostituire e simulare le nostre normali percezioni, chi potrà essere cosi audace e presuntuoso, nel futuro, da poter dividere con assoluta sicurezza la realtà dalla finzione? Dal punto di vista puramente cinematografico, Vanilla Sky è ancora più interessante. ipertrofico e non impeccabile nella disseminazione degli indizi del suo mistero, é un film eccessivo che cresce nella capoccia dello spettatore dopo la prima visione e che mira a provocare lo stesso effetto del Sesto senso, il cui successo fu dovuto anche al fatto che molti tornavano a vederlo per rileggerlo alla luce dello scioglimento finale. E lo stesso effetto cui mira Beautiful Mind di Ron Howard - il regista ha addirittura scritto una lettera a tutti i giornalisti e critici perché evitino di rivelare il colpo di scena che deflagra a metà film - e che sembra l'unica vera alternativa (l'unica strategia narrativa) che il cinema americano abbia saputo elaborare alla concentrazione di investimenti su sofisticate tecnologie dell'immagine. E come se l'intera industria dello spettacolo visivo planetario, tendesse sempre di piú al fantastico. In Giappone, attualmente, un cartone animato che racconta di una bambina intrappolata in una casa di fantasmi (Sen to Chihiro no kamikakushi di Hayao Miyazaki) sta abbattendo ogni record di incassi e il critico del «New York Times» paragona il finale di Vanilla Sky a quello degli episodi di Ai confini della realtà. Dal Sesto senso a The Others, il fantastico come potente tecnica di controllo dell'attenzione dello spettatore attraverso una modulazione ricercata e uniforme dei registri del sovrannaturale e del thriller, si é affermato come unica, consistente variante, all'estrogenazione ottica dell'inquadratura attraverso effetti speciali, il cui limite e utopia, nevrotica, è la completa sostituzione di corpi e cose con immagini digitali (Final Fantasy). Nel primo caso si tende a rendere complesso e ricco di struttura l'intreccio, per indurre lo spettatore a moltiplicare le sue capacità di lettura e interpretazione, nell'altro, invece, si riduce la storia a uno schema esile e stranoto, che qualsiasi spettatore conosce a menadito, e si rende il più possibile ricca di complessità e informazione l'immagine, svuotandola di corpi reali: é come se, nelle formule dell'immaginario attuale, tra corpi e storie esistesse un rapporto di grandezze inversamente proporzionali. Se aumenta l'uno, diminuisce l'altro. Proprio per questo Vanilla Sky è un film interessante e sorprendente. Storia e corpo protagonista, sceneggiatura e recitazione si addensano nel film con una massa eccessiva, debordante e inquietante. Per questo, forse, il film vive soprattutto della energia fisica e drammatica di Tom Cruise che, dopo Magnolia, nessun critico può piú etichettare come attore di blockbuster d'azione emerso dall'oscura e infame stagione degli yuppie. Per metà del film recita letteralmente senza volto, con una protesi facciale disturbante, che non sarebbe dispiaciuta ai maestri dei feticci come Buñuel. Più il film avanza, più lui se ne impadronisce, sempre più disperatamente. Inizia con un suo incubo in una Times Square deserta e trova il suo epilogo in una batteria spiazzante di allucinazioni che se mettono alla prova la resistenza dello spettatore dall'altro lo inducono a una curiosa esperienza di decifrazione e congettura che costituisce qualcosa che il cinema americano evita, oggi, come la peste: far si che lo spettatore si domandi in continuazione dove si trovi (quando ormai, oggi, ogni pubblico è in grado di riconoscere ogni immagine in ogni tipo di film). Nel complesso, per queste ragioni, Vanilla sky libera di fronte ai nostri occhi aperti, una massa critica inquietante e sorprendente, e anche se Crowe arriva a tutto questo involontariamente, probabilmente senza capirlo fino in fondo, gli si deve riconoscere invece la premeditazione dell'intuizione di base del suo stile, che scrive nel montaggio della musica la soluzione del film. Il nostro vero limite (questo, davvero, terrificante) é dato dal modo in cui non riusciamo a non immaginarci la felicità, come una compilation: una serie di momenti irripetibili.



Il Resto del Carlino (3/2/2002)
Alfredo Boccioletti

Il cielo alla vaniglia è quello di un quadro di Monet che il trentatreenne David Aames, tycom dell'editoria newyorkese, ha ereditato dalla madre. La sua allucinazione ha gli stessi colori, ma una colonna sonora pop-chic che marca con maggior precisione la storia sempre in bilico tra incubo e realtà. David è Tom Cruise, superbello e supercoccolato. Ha un'amante per amica, Julie (Cameron Diaz), che gli confessa d'amarlo prima di volare con lui fuori strada a 120 all'ora, in un suicidio-omicidio riuscito a metà. David resta sfigurato in volto, si nasconde dietro una maschera di lattice e diventa — se è possibile — più odioso di prima. Ritrovata Sofia, la ragazza spagnola all'origine della follia di Julie, la mente del giovane editore comincia a vacillare: la ucciderà in un delirio di figure sovrapposte e di sospetti. E allo psicologo che lo visita in carcere, David si dirà vittima di un complotto tramato dai soci di minoranza della casa editrice. Il suo racconto in flash-back confonde ancor di più i piani narrativi, dilatando in progressione lo spazio di quello irreale. Vaniglia di sera, di capirci qualcosa si spera. Difficile è anche cogliere il senso estetico di questo film che Cameron Crowne («Singles», «Quasi famosi») ha tratto dalla sceneggiatura di «Apri gli occhi». Parlare di remake è comunque riduttivo, perché Amenabar inseguiva a Madrid le ombre hitchcockiane della vendetta, mentre qui si viaggia dalla New York da bere («mai vista una ragazza così triste con un Martini in mano»: Julie) alla criogenesi di un futuro alla Andrew Niccol («Gattaca»). Qualche certezza però arriva: il piccolo Tom Cruise e la minuscola Penélope Cruz — per la seconda volta Sofia — si meritano. Mentre Cameron Diaz, sempre a caccia di ruoli non convenzionali, merita una pausa di riflessione.



Il Giorno (1/2/2002)
Silvio Danese

Tom Cruise ai confini della realtà. E' il remake così così di un buon thriller fantapsicologico, diretto nel '97 da Alejandro Amenàbar e intitolato con un richiamo diretto allo spettatore: "Apri gli occhi". La Volkswagen Cabriolet è diventata una Ferrari nera. La città è New York invece di Madrid. Il protagonista è l'antipatico erede di un impero editoriale invece che il figlio del proprietario di una catena di ristoranti. In un incidente, provocato da una pretendente rifiutata (Cameron Diaz nel ruolo più centrato della sua carriera), l'editore resta sfigurato e perde, con la sicurezza dell'identità, i punti di riferimento di realtà e l'amore della fidanzata, interpretata in entrambi i film dalla Cruz, con simile inefficienza. Cruise enfatizza il ruolo e punta sull'esuberanza. A Eduardo Noriega bastava il fascino torbido dell'espressione. Anche qui c'è il contratto d'una misteriosa società d'ibernazione che offre, al risveglio nel futuro, una simulazione perfetta della vita precedente. Ma qual è la vita vera? I piani sono così complessi, che lo spettatore si perde. Poteva diventare Hitchcock ("La donna che visse due volte") che incontra Lynch ("Strade perdute"). Forse Crowe non ne era neanche consapevole