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Ciclo: “Viviamo
ed amiamo” Libere, disobbedienti, innamorate (tit.
orig. Bar Bahar, tit. internaz. In Between) Mercoledì 27 febbraio 2019 Venerdì 1 marzo
2019
96 ’ |
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Regia |
Maysaloun Hamoud (regista e sceneggiatrice palestinese nata a Budapest
nel 1982 e cresciuta a Dir-Hana, in Israele. Ha studiato a Tel Aviv. Vive a
Jaffa). |
Filmografia |
Prima di questo film ha realizzato 3 cortometraggi: Salma
(2012), Sense of Morning (2010), Shades of Light (2009) |
Genere |
Drammatico |
Interpreti |
Mouna Hawa (Layla); Sana Jammelieh (Salma); Shaden
Kanboura (Nuur); Henry Andrawes (Wissam) |
Sceneggiatura |
Maysaloun Hamoud |
Fotografia |
Itay Gross |
Musica |
MG Saad |
C'è un'onda nuova che
muove dalle spiagge di Israele e abbatte i tabù arabo-israeliani. Cinema
israeliano in lingua araba, In Between fa intendere la voce femminile e
rimanda la società alle sue contraddizioni. Per voltare pagina, per avanzare.
TRAMA
Layla,
Salma e Nuur vivono a Tel Aviv. Giovani donne libere nello spirito che
desiderano vivere una vita che rispecchi i loro sogni e le loro esigenze. La
loro storia personale è fortemente radicata alle tradizioni: la famiglia di
Salma è cattolica, quella di Layla laica, Nuur musulmana. Le ragazze, dovranno
fare i conti con le loro origini, con le loro famiglie rigidamente
conservatrici e con la società (come ricorda Wissam a Layla, "qui non
siamo in Europa"), al fine di trovare la loro strada.
RASSEGNA
STAMPA
È un po'
fuorviante il titolo italiano di questo film, di produzione franco-israeliana
ma scritto e diretto da una palestinese, Libere disobbedienti innamorate
(con o senza virgole, non s'è ben capito) che ha echi di commedia e ricorda,
per assonanza, quel Giovani, carini e disoccupati con cui nel 1994 venne tradotto il
più incisivo Reality Bites di Ben
Stiller. In realtà l'originale In
Between, "nel mezzo", è sicuramente più coerente col contenuto
di un film che racconta un mondo – quello femminile e giovanile dell'odierna
Tel Aviv – che sta a metà tra un passato di sottomissione e un presente di
ribellione ed emancipazione. Ancora meno sensati sono i rimandi a Sex and the City, citato da più fonti:
l'opera prima della regista Mayasaloun
Hamoud racconta – senza particolari pruriginosi e nessuna frenesia dello
shopping - la vita quotidiana di tre giovani coinquiline in una città
ribollente di stimoli e tensioni, tutte e tre in modo molto diverso impegnate
ad affermare loro stesse. Se qualche strizzata d'occhio al cinema americano
c'è, è inserita in un contesto che non potrebbe essere più lontano dalle
metropoli statunitensi, New York inclusa. Stavolta non si parla di guerre,
conflitti e di tutto quello che il cinema palestinese e israeliano (che arriva
in Occidente) in genere ci racconta, ma l'attenzione è incentrata su tre
ragazze che lottano per affermare il proprio diritto di scelta in un mondo
maschilista: la disinibita avvocata Leila, bella, fumatrice e consumatrice di droga,
ma in fondo inguaribile romantica, che si innamora a prima vista di un bel
ragazzo conosciuto a una festa; la dj omosessuale Salma e la tradizionalista
Noor, fidanzata con un uomo molto religioso e in procinto di laurearsi in
informatica, che subentra nell'appartamento alla cugina che si è sposata.
Se in
qualcosa questo film militante rivela la sua natura di opera prima è nella
necessità di metterci dentro di tutto, per far vedere quanti e quali ostacoli
le donne si trovino ad affrontare nel loro percorso di emancipazione e come
solo la solidarietà femminile riesca a salvarne l'integrità. Tutte cose vere e
lodevoli, ma che richiedono a volte, per essere dimostrate, qualche espediente
narrativo un po' forzato, come la trappola messa in atto ai danni dell'ipocrita
e lascivo fidanzato di Noor. Da un lato c'è il fondamentalismo islamico,
dall'altro uomini in apparenza moderni e liberali che non si impegnano
seriamente con donne “troppo” libere, pur dicendo di amarle, e famiglie che
cercano di combinare improbabili matrimoni a beneficio del proprio status
sociale e che minacciano di mandare la figlia in manicomio alla scoperta del
suo orientamento sessuale. Un macrocosmo che si concentra in tre personaggi
simbolo e in una città vivace e piena di opportunità di studio e lavoro nonché
di divertimento, che non a caso attira un'immigrazione interna da tutte le zone
di Israele. Una città accogliente e moderna, però, secondo Hamoud, solo in apparenza, dove vive
bene chi si sottomette alla morale dominante e viene punito chi cerca la
libertà di essere se stesso. Al di là di certi eventi orchestrati un po'
meccanicamente, In Between è comunque un bell'esordio e dipinge con vividi
colori (molto bella la fotografia) e una attenzione particolare alla colonna
sonora una realtà giovanile e femminile di estremo interesse e con la quale è
impossibile non solidarizzare. Sicuramente è un film in grado di colpire e
affascinare anche il pubblico occidentale, pur se gli manca quello scarto
autoriale in grado di creare un'empatia totale con le sue belle e brave
protagoniste, a cominciare dal personaggio di Leila (Mouna Hawa), dedita agli stupefacenti e con una sigaretta
perennemente tra le dita. Comportamenti estremi e autolesionisti (anche)
attraverso i quali, nel film, sembra passare la liberazione femminile, a
ennesima dimostrazione, forse, che c'è ancora molta strada da fare. (Comingsoon.it, Daniela Catelli)
Premiata
all'Haifa International Film Festival, l'opera prima di Maysaloun Hamoud si
nutre di un contesto reale e segue il destino di tre donne che vogliono vivere
dove gli è concesso soltanto sopravvivere. A confronto con una doppia
discriminazione, sono donne e sono palestinesi, Leila, Salma e Noor procedono a
testa alta dentro un film che non risparmia nulla (nemmeno lo stupro) e
nessuno. Bar Bahr, il
titolo originale, in arabo tra terra e mare, in ebraico né qui né
altrove, traduce il disorientamento (meta)fisico di una generazione, quella
dei giovani arabo-israeliani che in Israele sono uno su cinque, emancipata
dalla propria cultura per adottarne una occidentale. Una generazione che non sa
più se appartiene al mare o alla terra. Una generazione, ancora,
alla ricerca di libertà che prova a preservare il cuore della propria identità. È Noor a impersonare meglio delle altre lo iato, con gli sguardi
affamati di vita sotto l'hijab, il velo islamico che non preclude la corsa della
ragazza incontro alla modernità. La regressione nel film è appannaggio degli
uomini, guardiani (ipocriti) dell'ordine morale che tradiscono un bisogno di
controllo che quando sfugge volge in violenza. L'energia drammatica del film
riposa sulle scintille prodotte dal confronto delle personalità piuttosto che
sull'inventiva della sceneggiatura. Alla denuncia, Maysaloun Hamoud preferisce
l'empatia, alla messa alla gogna la conversazione intima. L'autrice incarna i
tabù e si concentra sul quotidiano degli israeliani arabi, offrendo ai
palestinesi un corpo altro e fiero, che condivide con quello ebraico le stesse
tribolazioni, gli stessi problemi finanziari e sociali, la stessa città, lo
stesso Paese. Un Paese pieno di contraddizioni a cui tutti partecipano. Gli
israeliani ebrei non fanno che qualche apparizione nel film: la commessa di un
negozio che guarda con rimprovero Leila e Salma, il manager hipster di un
ristorante che proibisce a Salma di parlare arabo o il titolare di un locale
dietro al bancone incapace di identificare l'accento arabo di Salma. Attraverso
un corpo collettivo superbamente femminile, fluido e cangiante, In Between
ripiega in un appartamento da cui apre e chiude una battaglia contro i corsetti
morali. Un'isola domestica in cui convivono tre identità distinte con distinti
destini alla mano. Destini appesi a un'ultima sigaretta e gravati sugli sguardi
distanti. Dentro un finale ammutolito e una terrazza separata, dove la regista
isola le sue eroine per guardare da presso un paese, le sue violenze e le sue
ineguaglianze. (Mymovies, Marzia Gandolfi)
(scheda a cura di Carolina Papi)
prossimo film: 13 / 15 marzo:
DUNKIRK