Locandina italiana Tre manifesti a Ebbing, Missouri

 

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In direzione ostinata e contraria

Tre manifesti a Ebbing-Missouri

Mercoledì   23.01.2019

Venerdì       25.01.2019

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Regia

Martin Mc Donagh

Filmografia

In Bruges (2008)

Genere

drammatico

Interpreti

Frances McDormand (Mildred Haynes), Woody Harrelson (Bill Willoughby), Sam Rockwell (capo della Polizia), Abbie Cornish (agente Dixon)

Fotografia / montaggio

Ben Davis / Jon Gregory

Musica

Carter Burwell

 

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TRAMA

 

Ebbing, Missouri. Trascorsi sette mesi di inutili ricerche da quando sua figlia è stata violentata e uccisa da sconosciuti, Mildred Hayes, esasperata e decisa a scuotere l'omertà dei cittadini, decide di affiggere tre grandi cartelloni per provocare le autorità locali......

RASSEGNA STAMPA

Simili a cerchi concentrici, l'effetto dei tre manifesti che mettono alla berlina lo sceriffo di Ebbing a poco a poco si allarga fino a diventare incontrollabile. L'ostinazione di Mildred genera un vero e proprio terremoto di reazioni nella cittadina. E sono boati che fanno molto rumore, tanto male e fin troppe vittime. A un certo punto la violenza che insanguina le strade è così insistita da indurre la donna a cercare di capire dove la potrà condurre. E la scia di vendette forse si acqueta. Dopo "InBruges", 2008 e "7 psicopatici", 2012, il regista McDonagh, inglese di nascita, fa centro con un nuovo meccanismo all'insegna di una implacabile esattezza narrativa. Giustamente premiato a Venezia '74 con il Leone per la migliore sceneggiatura, il film vive una messa in scena incalzante e piena di colpi di scena, cruda certamente e senza sconti, fatta di sussulti, crisi, ripensamenti. Nell'ottica di uno spiazzamento aspro e duro, cinico e forte ma non rassegnato al peggio. Clima da thriller con scene da psicodramma alla Tennessee Wiliams.                        

Da Acec

“Tre manifesti a Ebbing, Missouri è un film su cui non si discute, è bello senza riserve. E non offre maniglie a cui appigliarsi, tipo: non sopporto quell’attore, non voglio più vedere quell’attrice, non sopporto i film dove cantano, non sopporto i film d’animazione. Neanche non voglio più vedere film americani. La storia è ambientata nel Missouri, ma lo sceneggiatore e regista Martin McDonagh ha passaporto britannico e irlandese, ha un posto d’onore nella nostra memoria cinematografica per un altro gioiellino intitolato In Bruges (…). Viene dai successi teatrali, che in questo caso – non sempre, ma parliamo di teatro britannico – vuol dire precisione di scrittura. Quel modo di mettere giù le parole sulla pagina che a ogni frase aggiunge qualcosa. E quel modo di costruire personaggi che dopo cinque minuti sembra di conoscere da sempre.”

da Il Foglio

"Idiozia e grandezze d’animo, iperviolenza stolida quanto improvvisa e rivelatrici dinamiche familiari, uno spettacolo coloratissimo e denso (tra Raimi, i Coen e il Tarantino, almeno quello più ispirato), con dialoghi al fulmicotone (“Continui ancora a torturare i negri, Dixon?”, “Oggi non si dice più torturare i negri, si dice torturare la gente di colore”). Alla corte del londinese Martin McDonagh (…), un gruppo di attori di superlativo livello ha a disposizione i ruoli adatti alla grande performance: e in effetti Frances McDormand e Woody Harrelson sono da premio, ma indimenticabili anche Sam Rockwell, Abbie Cornish, John Hawkes e il tenero e gigantesco (a dispetto della statura) Peter Dinklage."

 da Ciak

 

“Non è certo un vezzo didascalico o uno sfoggio di cultura toponomastica aver voluto rimarcare con tanta precisione l’ambientazione del film (a Ebbing, Missouri) fin dal titolo. Piuttosto è la necessaria puntualizzazione di un retroterra che non è solo geografico ma prima di tutto culturale e sociale. Getaway to the West, punto di partenza dei pionieri verso la colonizzazione del West, ultimo avamposto della civiltà prima dell’incontro con la Wilderness, la natura selvaggia, il Missouri sembra compiacersi delle proprie contraddizioni, fin da quando aderì all’Unione pur essendo uno Stato dove era ammessa la schiavitù. E gli opposti si intrecciano anche in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, cancellando ogni possibile distinzione, a cominciare da quella morale, nella storia che il regista sceneggiatore Martin McDonagh ha voluto ambientare in questa immaginaria (?) cittadina del Midwest, dove la tranquillità quotidiana è scossa da improvvise vampate di violenza. (…) I colpi di scena non mancano nel film, a volte conducono lo spettatore lungo piste che poi si rivelano controproducenti o mettono in risalto facce inaspettate dei personaggi, non sempre così schematici come potrebbero sembrare a prima vista. Tante sorprese che la sceneggiatura dosa con l’esperienza di chi si è fatto le ossa a teatro (...) e ha affinato la sensibilità per l’imprevisto e i cambiamenti di tono. Perché uno dei meriti del film è anche la capacità di passare dai toni della commedia a quelli del dramma, dalla farsa alla commozione, pronto a lenire con un inatteso ricorso al sorriso — se non proprio alla risata — l’effetto della tragedia che aleggia su tutta la storia. L’altra grande qualità del film è la prova collettiva del cast. Se Frances McDormand sta collezionando meritatamente nomination e premi, Woody Harrelson e Sam Rockwell non le sono da meno, perfetti nel restituire quella ruvidezza e insieme quella carica di empatia che inchiodano lo spettatore allo schermo, senza perdere un fotogramma di questo miscuglio di rabbie e di vendette, di inaspettate generosità e di sorprese. Il che ci porta all’ultimo grande merito di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, e cioè la capacità di recuperare, rinnovandola, la grande tradizione del cinema di genere. Che non vuol dire la sagra dei luoghi comuni e delle strizzatine d’occhio citazioniste, ma la capacità di raccontare una storia che sappia interessare e appassionare senza dimenticare di scavare più a fondo, capace di aprire l’intelligenza dello spettatore verso altri percorsi (e perché no, riflessioni), con una ricchezza di spunti affascinanti e coinvolgenti. Come ci aveva insegnato il grande cinema di ieri, dei Samuel Fuller, dei Jacques Tourneur, dei Raoul Walsh ma anche dei Freda, dei Castellani o di Soldati.”

da Corriere.it

“Riuscitissimo miscuglio di dramma, commedia nera e western moderno, l'opera di Martin McDonagh è un vero gioiello, dalla scrittura solidissima e dalle performance attoriali eccezionali. (…) Ci si appassiona con sincero coinvolgimento alla crociata di Mildred contro poliziotti indolenti e incompetenti, figli di una provincia retrograda del sud degli Stati Uniti. Dolore, senso di colpa e speranza si alternano con rabbiosa rassegnazione in questa madre guerriera interpretata da una McDormand strepitosa e già in odore di Oscar. I temi toccati, per quanto seri e complessi, vengono affrontati con gustoso cinismo e, sebbene la vicenda sia assolutamente drammatica, non si contano le battute sagaci e ficcanti, in grado di strappare autentiche risate. Tanto i dialoghi sono secchi e impeccabili, così lo stile registico è asciutto e preciso: non c'è spazio per alcuna retorica né nella forma né nei contenuti.”

da Il Giornale

(scheda a cura di marco massara)

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