La tigre e il
dragone |
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Nella Cina della dinastia Ching, il maestro di arti marziali Li Mu Bai decide per amore di abbandonare la via della spada e di donare la sua mitica arma, il Destino Verde, all'aristocratico Sir Te, in segno di riconoscenza e devozione. Ma un guerriero tanto abile quanto misterioso riusirà a rubarla. Li Mu Bai si mette subito alla ricerca della spada |
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Le vostre recensioni
LA TIGRE E IL DRAGONE |
voti 7 |
Tambureggiante cine-giocattolo per spettatori adulti capaci di
farsi bambini per un paio d'ore, tanto poi si può sempre
tornare indietro. Ammesso che ne valga la pena. Predoni e
maestri, combattimenti che sembrano balletti, voli (bellissimi)
sugli alberi e giù nel vento, basta "spalancare la mano
per afferrare tutto". Ovvero, crederci. E se devo credere,
preferisco l'annullamento della gravità all'annullamento
dell'intelligenza (Chocolat) o del buon gusto e della
complessità della vita e dell'arte (Billy Elliot).
Certo, La tigre e il dragone rischia di ridurre la
vastità della saggezza orientale ad una serie di frasi che
sembrano cineserie da ristorante take-away (diversamente, credo
non avrebbe vinto 4 Oscar, fra cui quello come miglior film
straniero, superando uno stra-film come Amores Perros), eppure,
nel mescolare romanticismo, far west e arti marziali e nello
scontro fra l'eroismo della ragionevolezza e il furore dei
sentimenti, il cine-giocattolo un'anima ce l'ha. Ma se
siete di quelli che un anno fa hanno criticato Il gladiatore
perché "Marco Aurelio non è morto così",
lasciate perdere. Il vostro Destino Verde sarà la noia.
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Un gran ben film: epico, poetico, magico, impetuoso, coinvolgente,
pieno di passione, sentimentale ma non zuccheroso. Ang Lee ci
riprova a dire la sua su ragione e sentimento ed è chiaro da che
parte sta: la coppia più matura spreca la propria vita,
prigioniera di un'etica morale difficile da comprendere, e solo
quando è troppo tardi riesce a lasciarsi andare ai sentimenti. La
protagonista più giovane invece difende, è proprio il caso di
dirlo, "a spada tratta" il diritto alla felicità, a
scegliersi il proprio destino. Splendido il finale dove, volando,
va incontro ai suoi sogni. Ang Lee ci dà un'ulteriore prova della
sua bravura e della sua ecletticità: riesce a spaziare tra generi
completamenti diversi, in mondi apparentemente molto lontani tra
loro, convincendo sempre. E poi che grande trovata quella di usare
eroi epici "donne", .persino nel ruolo del supercattivo!
Chissà se c'erano veramente donne così nell'Oriente
dell'Ottocento. Certo è che in Occidente a quell'epoca erano
considerate meno che zero. Avrà forse voluto dire a noi
occidentali che non dovremmo fermarci alle apparenze e ai
pregiudizi sulle condizioni delle donne in Oriente? Chissà. |
Marina Conti |