Il cast (torna su)
Regia:
Zhang Yimou
Sceneggiatura:
Feng Li, Bin Wang, Zhang Yimou
Attori:
Jet Li .... Senza Nome
Tony Leung Chiu Wai .... Spada Infranta
Maggie Cheung .... Neve Volante
Ziyi Zhang .... Luna
Daoming Chen .... Re di Quin
Donnie Yen .... Cielo
Liu Zhong Yuan .... Saggio
Zheng Tia Yong .... Vecchio Servo
Yan Qin .... Primo Ministro
Chang Xiao Yang .... Generale
Zhang Ya Kun .... Comandante
Ma Wen Hua .... Capo degli eunuchi
Prodotto da:
BShoufang Dou, William Kong, Zhang Yimou
Musiche originali:
Dun Tan
Fotografia:
Christopher Doyle
Montaggio:
Angie Lam
Costumi:
Emi Wada
Art direction:
Tingxiao Huo, Bin Zhao
Nazione: Hong Kong, Cina
Durata: 99'
La trama (torna su)
Corre l'anno 2200 A.C., il re di Quin cerca in tutti i modi di unire i sette regni della Cina, per dare vita all'Impero. Per questo motivo assassini, cospiratori, sicari e traditori desiderano eliminarlo e attendono solo il momento giusto per farlo. La sorpresa del re di Quin è totale quando viene a conoscenza che un coraggioso guerriero ha ucciso i suoi tre poù feroci nemici. Il guerriero si reca a palazzo reale e racconta le sue gesta eroiche. |
Corriere della Sera (9/10/2004)
Tullio Kezich |
Ambientato 2400 anni fa, Hero si rifà alle leggende fiorite intorno al re Qin, unificatore della Cina, lo stesso che stava al centro di L’imperatore e l’assassino (1999) di Chen Kaige. Qui gli spadaccini che attentano alla vita del sovrano sono tre, anzi quattro, e trascorrono dalle grandi battaglie alla Kurosawa ai duelli volanti di La tigre e il dragone (il produttore è lo stesso, Bill Kong). Proprio in base al successo del film di Ang Lee (quattro Oscar nel 2000) Variety accolse l'apparizione di Hero alla Berlinale dello scorso anno profetizzando un ottimo esito al botteghino Usa: il che, sia pure in ritardo, si sta verificando. Infatti molti si entusiasmano a questo spettacolare carosello di ritualismi e sciabolate, a onta della constatazione che la pompa e la raffinatezza della confezione nascondono il vuoto, i personaggi sono fantocci e i divi cinesi a noi occidentali dicono poco. Tanto da far venire il dubbio che il regista Zhang Yimou sia ormai perduto alla causa del cinema d’autore. |
la Repubblica (9/10/2004) Roberto Nepoti |
Per il suo primo "wuxia", fantasia di arti guerriere, Zhang Yimou ha scelto una delle leggende sulla nascita della Cina. Duemila anni fa. Il re Qin vuole unire i sette regni e dare origine a un grande impero; gli altri sovrani assoldano killer d'élite per eliminarlo. E' lo stesso soggetto già messo in scena dal suo maestro Chen Kaige nell'"Imperatore e l'assassino"; ma con l'aggiunta di un quarto sicario, Senza Nome, che intrattiene in flashback il monarca sui fatti d'arme da lui stesso compiuti contro i suoi nemici. Dice la verità; oppure si propone, a sua volta, di assassinarlo? Esordendo nel kolossal, il regista ha voluto fare di tutto, di più; più di Hollywood e Hong Kong messe assieme. Composte con una cura degna di Kurosawa, le immagini ci riempiono gli occhi: duelli sospesi nell'aria, combattimenti di uno contro cento, migliaia di frecce che piovono dal cielo; il tutto coreografato impeccabilmente da Ching Siu Tung ("Storie di fantasmi cinesi"). Però Zhang non si è fatto mancare neppure le soddisfazioni intellettuali: il racconto è una costruzione concettuale, dove le versioni dei fatti si contraddicono (confronta il classico kurasawiano "Rashomon") e ogni flashback ha un colore differente per scenografie e costumi. Ha raggiunto lo scopo, poiché Hero è stato accolto triofalmente non solo in Cina, ma anche negli Usa. Eppure la perfezione dei dettagli va a scapito dell'anima; e il colore di una foglia finisce per contare più dei personaggi, che sembrano (splendide) marionette mosse da fili. |
La Stampa (9/10/2004) Lietta Tornabuoni |
Mai estetismi, sempre nobili valori estetici; mai bellurie, sempre pura bellezza. Grandioso e meraviglioso, «Hero» (Eroe) di Zhang Yimou, il regista cinquantaquattrenne di «Lanterne rosse», fa dimenticare certo piccolo realismo o pseudorealismo quotidiano del cinema borghese occidentale, resuscita l'epica, comunica pensieri alti: l'eroe è colui che anche nelle circostanze più difficili sa assolvere bene al proprio compito; l'eroe è l'uomo d'armi che arriva a disarmarsi, a sostituire la pace alla guerra. Vicenda storica di conflitti, tirannia e duelli acrobatici, omaggio a Kurosawa, «Hero» è il film più costoso mai prodotto in Cina, interpretato dalle più splendenti star asiatiche, magnificamente fotografato da Christopher Doyle. Evoca tempi remoti. Alla fine del «periodo dei regni combattenti» (481-221 avanti Cristo), la Cina è divisa in sette Stati impegnati in spietate guerre reciproche. Il re di Qin, tiranno battagliero, è ossessionato dal progetto di uno sterminato e possente impero unito sotto la sua sovranità; è bersaglio di costanti attentati commissionati dai suoi avversari, ma teme soltanto tre guerrieri solitari e ha promesso a chi li eliminerà immensi doni, soprattutto il privilegio di avvicinarsi a lui. Un guerriero si presenta al suo palazzo raccontando d'aver compiuto l'impresa e consegnando le armi dei nemici. Alla sua narrazione, però, il re oppone un'altra storia di complotti, d'onore e di dovere. E' lo stesso periodo storico, la stessa materia tragica de «L'imperatore e l'assassino» di Chen Kaige (1999). La maestria cinematografica di Zhang Yimou è maggiore, le sue immagini e la sua forza visionaria sono stupende. Duelli all'arma bianca aerei, combattuti in volo, sotto la neve o tra le foglie autunnali, corerografati con straordinaria energia e leggerezza, neppure paragonabili agli scontri de «La tigre e il dragone» di Ang Lee. Schieramentin stupefacenti di eserciti in marcia; nuvole di frecce scoccate da una massa di arcieri. I vasti saloni del palazzo del re, vuoti e disadorni perché nessun attentatore possa nascondersi dietro una tenda o un mobile. Paesaggi pittorici, grigio-cenere o sabbia, e le tinte di fondo mutevoli a seconda dei personaggi, delle situazioni. Due amanti in abiti bianchi, trafitti dalla stessa spada. Vera grandezza, al cui confronto s'immiseriscono glispot pubblicitari più megalomani e persino «Il signore degli anelli». Il primo vero tentativo cinese di conquistare il mercato occidentale è già riuscito negli Stati Uniti: se il mix tra bravura d'autore e kolossal verrà mantenuto, promette molto per l'avvenire. |
il Manifesto (10/10/2004) Mariuccia Ciotta |
Film politico, Hero, di Zhang Yimou, che fu in gara a Cannes nel 2003 e che poi ha avuto un seguito nell'inedito in Italia, e altro meraviglioso esempio di cappa e spada danzante, House of Flying Daggers (fuori gara a Cannes 2004). Lo scenario storico è spostato molto indietro nel tempo, nella Cina pre Imperiale del 221 a.C., ma non per questo l'opera è meno attuale. Protagonista assoluto è infatti «il kamikaze», colui che si sacrifica per un ideale superiore, o inferiore. Il regista cinese della quinta generazione, Zhang Yimou, classe 1950, autore di Sorgo rosso, Lanterne rosse, La storia di Qui-Ju e Non uno di meno, pluripremiato a Cannes, Venezia e Berlino, lo Spielberg di Pechino, per questo classico targato Miramax è stato di nuovo accusato di connivenza con il governo e di simpatie anti-Tienamen, soprattutto dopo la candidatura «istituzionale» al premio Oscar come migliore film stranero. Ma solo una mentalità guasta e viziosa, «occidentale» cioé, potrebbe vedere Mao sotto le vesti di un imperatore spietato, o ancor peggio i suoi successori, nazionalisti solo nel senso delle multinazionali... Hero, genere «cappa e spada» - per la Miramax probabilmente un goloso sequel del mediocre (non al box office) filmone di Ang Lee La tigre e il dragone - sprigiona la tragedia della pace e lascia tutti ammutoliti sull'essere altro, altro mondo, sospesi in cielo come i maestri delle arti marziali, guerrieri volanti dentro nuvole di foglie gialle violentemente cangianti in rosso sangue. Delirio onirico da playstation per il regista abituato a piccoli racconti sovversivi in fatto d'amore e di giustizia, di scuola e di comunismo. Zhang Yimou con questo gioiello aggiunge alla sua «sensibilità spielberghiana», la dimensione gigantesca: l'utopia dell'horror b-movie che diventò Jurassic Park è quello del balletto marziale che diventò Hero, il kolossal. Sette regioni di una Cina feudale si massacrano per unificare l'Impero e egemonizzarlo. Vince chi ha la fly-sword, la spada volante, o riesce a schivare milioni di frecce scoccate all'unisono, nuvola nera saettante che copre il sole e precipita sulla scuola dei giovani studenti di calligrafia. Se scrivi bene la parola spada, nessuna freccia ti colpirà. Bastano anche due ballerini-guerrieri avvolti in garze colorate che roteando a mezz'aria spezzano i dardi neri, lanciati da eserciti contrapposti, truppe sterminate con i loro vessilli palpitanti, stile Kurosawa e Bertolucci. Senza Nome (Jet Li, Kiss of the Dragon), Spada Spezzata (Tony Leung, In the mood for love) e Neve Volante (Maggie Cheung, In the Mood for love, Irma Vep) si uniscono per compiere una missione che costa la vita. Sono tre maestri del combattimento, uniti da doti eroico-erotiche - due uomini e una donna, i migliori, quelli che battono la forza di gravità, la velocità di una goccia d'acqua schizzata sulla guancia prima che diventi lacrima, e lievitano più alto di una folata di vento - decidono di assassinare il re più potente e crudele, the King of Qin, che regna nel nord, e aspira a schiacciare gli altri. Ma c'è un altro modo di essere «All under Heaven», tutti uniti sotto il cielo, per un alto grado di civiltà. I tre lo scopriranno un po' alla volta, nei flash-back evocati dal re. In una varietà cromatica forte che indica verità diverse come nei Sette samurai, il racconto si srotola tra duelli e vendette, gelosie e rivalità. Osservatrice disperata del dramma è Moon, giovanissima allieva del teorico del gruppo, Spada Spezzata. L'attrice Zgang Ziyi porta con sé l'eco del film di Ang Lee di cui era protagonista. Ma Hero è l'anti-tigre e dragone, un film che capovolge il genere, destinato alla sequenza obbligata duello-morte-duello. Votati al sacrificio di sé, infatti, i guerrieri tradiranno la loro missione e interromperanno il meccanismo del «gioco». Di fronte a King of Qin, disarmato e impotente, abbasseranno la spada. Saranno uccisi dalle truppe del futuro imperatore della Cina. «All under Heaven» è stato scritto sulla sabbia, dunque resta parola d'ordine, ornamento del deserto e del cielo. Eroi, non kamikaze. |
l'Unità (11/10/2004) Dario Zonta |
Esce in Italia con due anni di ritardo Hero, il primo film di «cappa e spada» del regista cinese Zhang Yimou. Il suo nome è legato a film intensi, bellissimi e impegnativi, come Lanterne rosse e La storia di Qiu Ju (tutti variamente premiati in festival internazionali). Ora si confronta con il genere dei generi in terra d'Oriente: il cappa e spada appunto, o «wuxiapian». Qualcuno aveva detto che un regista non è un regista se non affronta prima o poi il film d’azione con coreografici duelli sul fil di lana. Zhang Yimou deve aver sentito l’avvertimento perché dopo Hero ha sfornato subito un altro «wuxia» film, La foresta dei pugnali volanti, presentato fuori concorso all'ultima edizione di Cannes e prescelto dalla Cina per l'Oscar straniero. Hero racconta gesta di eroi nella Cina leggendaria di prima dell'Impero: la storia (in una delle tante versioni) della sua fondazione. La versione raccolta da Yimou vede un guerriero, Senza Nome (Jet Li), affrontare e sconfiggere, su richiesta di uno degli imperatori dei Sette Regni (in tante parti era divisa la Cina nel terzo secolo avanti Cristo), tre guerrieri che osteggiano il suo primato. Ma quel che appare non è vero, e il resoconto di Senza Nome è pieno di contraddizioni. Zhang Yimou struttura la storia pensando al Rashomon di Kurosawa (quattro verità per quattro versioni della stessa vicenda), ma la mette in scena come fosse un balletto di teatro-danza in un teatro di posa pubblicitario. L'estetizzazione (della battaglia, del duello, della guerra) è portata alle estreme conseguenze (ed estrema è la noia) e c'è più di un sospetto nel finale pro-imperialista. La tigre e il dragone di Ang Lee era trenta volte più appassionante e melodrammatico di Hero, in cui il volo degli eroi alla trentesima volta stanca mortalmente. E le facce di Toni Leung e Maggie Cheung, pur belle, non lo salvano.Il «wuxiapian» è un genere popolare, dettato da chiare regole e codici, e frequentato da un preciso pubblico di appassionati. Il successo di questi ultimi anni ha sfondato il pur vasto bacino di accoliti andando a pescare in altri e impensati uditori. Quindi, in tutte le sue varianti nazionali («wuxiapian» all'orientale, «swordplay» all'inglese, «cappa e spada» all'italiana) è diventato un genere alla moda, dai grandi incassi (Hero ha raccolto in agosto negli Stati uniti 60 milioni di dollari, e in patria il corrispettivo di 100 milioni di dollari), su cui si sono buttati scaltri gli imprenditori cinematografici. La rottura degli argini fideisti è da attribuire ad alcune pellicole fortunate, come La tigre e il dragone dell'americanizzato Ang Lee (fortemente voluto dalla Miramax), e soprattutto alla mitizzazione che del genere ha fatto il potente Quentin Tarantino, da sempre pervaso dallo spirito «wuxiapan», come la saga di Kill Bill dimostra. Tarantino è diventato un marchio di fabbrica, un brand, una garanzia. Tarantino il padrino, lo sponsor, il testimonial… La sua potenza sta proprio nel riuscire ad applicare il marchio (o a permettere di farlo) a film di produzioni lontane e straniere, avocando a sé una tradizione ben più importante e lunga. Se ci fate caso sulle locandine e nei trailer di Hero compare a lettere cubitali il nome di Tarantino e più piccino quello di Zhang Yimou. Ora non crediamo che il regista cinese, massimo rappresentante della quinta generazione, quella succeduta alla Rivoluzione Culturale, abbia realizzato Hero perché Tarantino ha fatto Kill Bill, ma crediamo che questa vicenda di marketing sia l'ennesima dimostrazione di come la pubblicità gestisca le intelligenze del proprio uditorio: grida Tarantino per vendere un «yimou» piccolino. La cosa peggiore è che chi va a vedere il film (ed è poco avvisato) non si accorge della differenza, uno vale l'altro: Yimou sta a Tarantino come Hero a Kill Bill. E la cosa ancora più preoccupante è che il maestro cinese non se n'è accorto. Anch'egli vittima inconsapevole della manipolazione tarantiniana di un genere «millenario». Kill Hero: questo sta accadendo, dove «Hero» sta per la tradizione epica del film di genere e «Kill» per l'usurpazione occidentale in chiave mitica. Se si volesse fare un discorso più in generale, bisognerebbe dire della tendenza sempre più incalzante del cinema contemporaneo (e non solo) a fare la violenza e la guerra belle, musicali, coreografiche, affascinanti. Tendenza che incrocia anche gli eventi più lontani, ma accomunati da una stessa «passione». E così in questo senso l'operazione di Zhang Yimou ricorda, per tipologia, quella che Baricco sta proponendo con l'Iliade: un rifacimento-rilettura-adattamento innamorato di sé. Solo che entrambi giocano con il mito, che sia orientale o attico, ed estetizzano la guerra come forma pura senza sangue. |
I link (torna su)
Sito ufficiale - http://www.miramax.com/hero/ |