ORION    MOVIES

CENTRO FRANCESCANO ARTISTICO ROSETUM

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TRE MANIFESTI A EBBING - MISSOURI


Rivisto con piacere, un bel film… eppure qualche difettuccio.
Le donne: sciocchine, l’impiegata e la seconda moglie, di contorno, la moglie dello sceriffo e la socia di Mildred, o, yiddish mame (zampino Cohen per il povero agente Dixon?).
Poi c’è Mildred, che (scena iniziale dell’insetto) ha deciso di smettere la passività del dolore, (rad)drizzarsi e passare all’azione: un’azione che ricalca la tradizione maschile del western, sola contro tutti.
In un contesto dove l’ostilità è manifesta (neri e gay, dentista, scuola, prete) e neppure tra poliziotti esiste una traccia di solidarietà, Mildred non fa eccezione, nessuna amica particolare, nessun confronto col figlio, furiosa con tutti (figlia compresa!).
All'opposto, restando al western, è proprio lo sceriffo Bill a sprizzare bontà. Forse il pensiero della moglie, prossima come Mildred, ad un grande dolore, spiega il suo sforzo di capire gli altri senza la rabbia che, pur lentamente svaporando, avvolge un po’ tutta Ebbing.
Allora le lettere, molto acute di Bill, suggeriscono un altro tema: al fuoco, protagonista invadente e pervasivo si può opporre, nella sua finta leggerezza e non immaterialità, la parola scritta: comincia Mildred con le frasi sui manifesti e poi c’è il biglietto nella busta dei 500 dollari, spiegato nelle lettere che, recapitate da morto, prolungano l’esistenza di Bill, spingendo i destinatari a mutare opinione e atteggiamento. A Dixon il consiglio di superare la rabbia attraverso la capacità di trovare le parole per “dire” il mondo, insomma senza le parole soltanto rabbia e violenza.

Quartotempo

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Effettivamente non c'è nulla fuori posto in questo film asciutto, crudo e intrigante: sceneggiatura, musica, recitazione perfetti. Io l'ho vissuto come un western moderno che descrive una realtà un po' più evoluta del passato ma non di tanto, la stessa che probabilmente ha portato Trump alla presidenza degli States, quindi numericamente abbastanza consistente. Ebbing-Missouri sembra essere una piccola comunità ancora intrisa di un misto di machismo, razzismo, omofobia e prepotenza da parte del potere; i rapporti interpersonali sono improntati ad uno stile di comunicazione diretto, impulsivo e volgare e impedisce ai vari personaggi di comprendersi e trasmettersi sentimenti positivi; si percepisce un po' in tutti una grande disperazione esistenziale.

Il film è ricco di colpi di scena. Il punto di svolta avviene quanto lo sceriffo Willoughby si suicida lasciando tre lettere. Soprattutto quella per l’agente Dixon è molto bella e fa breccia nella sua mente. Dixon è certamente il personaggio che si trasforma maggiormente nel corso della storia. Orfano di padre da quando questi aveva abbandonato la famiglia, era rimasto invischiato nella relazione con una madre svalutante e protettiva che gli impediva di diventare un uomo. Per la prima volta si trova a percepire una figura paterna che gli suggerisce un'immagine di sé migliore, un ideale da raggiungere e come realizzarlo, che gli parla con il cuore e con la forza del pensiero razionale. La lettera sottolineava l’importanza della riflessione.

È a quel punto che Dixon si può permettere di esprimere una parte buona di sé, e anche più intelligente, che fino a quel momento era rimasta sopita e di empatizzare con Mildred ed il suo bisogno di giustizia.

Dal canto suo, Mildred, che si sente terribilmente in colpa per la morte della figlia a causa delle parole pronunciate in un impeto di rabbia, sentendosi compresa, si ammorbidisce e ne accoglie l'aiuto.

E tutti e due, quando iniziano insieme il viaggio intenzionati a compiere un'operazione di giustizia fai da te, si concedono il privilegio del dubbio e concordano di volerci riflettere.

Mimosa

 

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Film da applauso (infatti alla fine ho applaudito), graffiante come le unghie di Dixon. Mai banale ma potente e intelligente. La violenza che attraversa il film, esplicita o sommersa, anche verbale, non è gratuita, fa parte integrante della storia del film e del DNA degli U.S.A. o perlomeno di una certa parte. In perfetto equilibrio il film sa fermarsi sempre al momento giusto, senza mai cadere nel patetico, nel palese o nello splatter. In più è impreziosito, a tratti, da un sottile humor inglese. Bello, mi è proprio piaciuto. L’avevo già visto, ma lo rivedrei volentieri. D’altra parte non c’è due senza tre,... manifesti.

 

Silente

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Mildred non sa darsi pace per la drammatica morte della figlia e non accetta che dopo pochi mesi le autorità e gli altri concittadini abbiano metabolizzato un così atroce delitto e data ormai per scontata l'impossibilità di trovare il colpevole.
L'operazione "tre manifesti" la fa uscire da uno stato passivo e depresso fornendole una motivazione per vivere, ricoinvolgere  l'intera cittadinanza nel suo lutto e stimolare la polizia a riprendere le indagini. Lo fa con una determinazione ed una spietatezza direttamente proporzionate alla sua rabbia e disperazione, come quando dichiara all'allibito sceriffo di sapere del suo stato di malato incurabile di cancro e di non aver voluto perdere tempo perché da morto sarebbe stato uno strumento  meno efficace per i suoi fini.
ll film ci offre l'opportunità di esaminare le reazioni della gente comune in una situazione di tensione ove non è semplice attribuire ragioni e torti nella contesa tra Mildred ed il buon sceriffo Bill. Tutti sono convinti che lo sceriffo abbia condotto con diligenza le indagini ed inoltre empatizzano  con lui per la sua grave malattia, ma allo stesso tempo capiscono lo stato d'animo e le motivazioni di Mildred. Nessuno esamina la situazione in punta di diritto e le molteplici sconsiderate azioni delittuose della protagonista vengono tollerate in forza del buon senso e della comprensione. Qualcuno nel dibattito ha rimarcato la specificità di quella realtà del profondo mid-west americano ancora segnato dall'epopea western; ritengo troppo limitativa questa analisi ed almeno nei nostri paesi occidentali si va affermando sempre più una mentalità non dissimile da quella degli abitanti di Ebbing: fa specie che nel nostro Paese ad esempio le forze che si oppongono all'attuale governo si affidino ancora a sottili e spesso discutibili interpretazioni di codici marittimi, capitoli di trattati internazionali, articoli di dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo o della nostra Costituzione, oltre ad uno sterile e velleitario buonismo,  per riconquistare un elettorato che tende sempre più a formarsi autonome opinioni su basi decisamente più concrete e prosaiche.
Bando a questa digressione personale ed opinabile, mi ha colpito e fatto piacere l'accenno fatto da Marco Massara a Clint Eastwood; sono convinto che questo film gli sia molto debitore e che il ruolo impersonato da Frances McDormand  copra l'intera parabola della vita cinematografica del grande Clint: spavalda ed invincibile all'inizio come il pistolero Joe di "Per un pugno di dollari", sul finale tende a diventare riflessiva e tollerante come il pensionato Kowalski di "Gran Torino". Per la verità così tollerante forse non lo è ancora diventata e seppur disposta a subordinarne l'eliminazione all'esito di un dibattito a due nel lungo viaggio verso l'Idaho con l'ex agente Dixon, al pari di Lei colpito sulla strada di Damasco dalle lettere postume dello sceriffo Bill (santo subito!), non vorrei essere nei panni del vanesio stupratore seriale.
Franco      francogarga@gmail.com
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Film perfetto, magnificamente scritto e altrettanto magnificamente interpretato  (menzione speciale per la musica e il doppiaggio). 

Tutto è eccessivo, e nulla lo è fino in fondo. 

Nella piccola comunità tutti conoscono i pregi e le debolezze di tutti, e si accettano. C’è solidarietà e anche affetto, dietro la rudezza del linguaggio e dei gesti da “frontiera western”. 

E c’è questa madre guerriera, che sfida l’autorità ritenuta pigra e inconcludente, con il coraggio di chi non ha niente da perdere. Lo capiremo in seguito che è divorata dal senso di colpa per la terribile fine della figlia adolescente, alla disperata ricerca di un colpevole più colpevole di lei, nella speranza di sgravarsi da questo immenso dolore. 

È un viaggio catartico quello che intraprende (e ci concede il primo il sorriso), assieme a Dexter, improbabile compagno di viaggio, che ha ritrovato un po’ di indipendenza dalla terribile madre. 

Non è dato sapere come si concluderà questo viaggio, ma è comunque già un successo. 

Mi è piaciuto questo film americano, così poco americano, dove i cattivi sanno anche diventare buoni. 

Con questa proiezione il nostro Cineforum si è riscattato. 

D’ora in poi, più 3 Manifesti e meno Wonder, please ;););)


Gerry

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WONDER


Forse non era serata, e mi dispiace fare la guasta feste considerando il plauso che ha ricevuto questo film nel gioco del gradimento della proiezione di mercoledì. Più che un film, personalmente l’ho vissuto come un lungo spot pubblicitario alla Mulino Bianco, lungo quanto finto. Attori buoni, ma la favoletta del college esclusivo, della famiglia perfettina con genitori che sanno sempre cosa fare e dire, di figli con le insicurezze dell’adolescenza ma sempre ben pettinati ordinati che si muovono in una casa enorme e perfettamente organizzata, pulita, ordinata, (senza un aiuto domestico) persino i pasti descrivono un cibo meticolosamente disposto quanto immangiabile (persino il cane lo rifiuta). Come non accorgersi del finto nel dialogo madre figlio dopo la cena interrotta dalla crisi di August quando la bella Giulia Roberts mostra i segni del tempo sul volto così ritoccato dalla chirurgia estetica da essere privo di rughe, si allude persino a dei capelli bianchi perfettamente celati dalla cosmesi. Anche la scuola è descritta come un paradiso dell’apprendimento dove gli insegnanti sono tutti buoni, bravi, dove non ci sono problemi di razzismo,conflitto sociale (tanto ci sono le borse di studio)e gli alunni perfettini pure loro sono un modello di educazione a parte il gruppetto dei bulli. Mi sono così annoiata che ho persino pensato che il cane si fosse suicidato perchè non sopportava più un ambiente così caramelloso e ossessionato dall’apparire belli, intelligenti, educati, etc..

Comunque la visione di un film così poco interessante non può che far emergere le scelte dei film precedenti che mi sono piaciuti e che ho particolarmente gradito

buon anno a tutti
A.
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Mancata partecipazione dibattito. Dopo la proiezione… senza parole.
Il film invece lascia tanti punti aperti:
Perché:
a) deve morire la cagnetta?
b) il ragazzino nero gira col violino senza mai suonarlo?
Che cosa:
a) si fa in un campus estivo?
b) s’insegna nella scuola di Via tra l’intervallo di un atto e l’altro?

Come:
a) si sono rappacificate Miranda e Via?
b) la madre ha finito la tesi senza che nessuno/a (tranne la povera Daisy) se ne sia accorto/a?
Tutta Wall Street rimpiange il novello maestro dolcetto - precetto (parola più da sacrestia che da educazione etica).
Sorrisini al bimbo, ma il bullismo gli sfugge,
non apre momenti di discussione con la classe, disposta in modo atomizzato,
un banco una testa, le relazioni tra studenti nascono spontanee soprattutto in mensa, posto privo di docenti.
Le bambine? stupidine come al solito. Nella presentazione della scuola il preside sceglie la più inconsistente e il film infatti se la perde per strada.
Sempre Chiappetta trova, paradossalmente, la giustificazione del premio proprio in quello che la scuola aveva il compito di realizzare e invece… Wonder!
Il bimbo ce l’ha fatta da solo, oddio… ma allora la mamma-macchietta trumpiana del bullo avrebbe quasi ragione nel far cambiare scuola.
Il finale, senza un titolo che (finalmente) lo annunci, ci lascia nel dubbio su cosa Lui regala a Lei: calze o crodino?
Bad movie.

Quartotempo

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Premetto che non sarei andata a vedere questo film al cinema nel timore di una storia strappalacrime e melensa. Sul linguaggio cinematografico utilizzato è già stato detto in sala e condivido: lineare, diretto, semplice, immediato e favolistico; e il messaggio è chiaro: l’accettazione delle diversità.

Il film è rivolto ad un pubblico ampio, per lo più di famiglie, insegnanti e adolescenti con un intento didattico ma a me è piaciuto perché ritengo che nel suo genere sia fatto bene e promuove un pensiero positivo laddove vi sono problemi difficili da superare. Nello specifico, vediamo due genitori letteralmente innamorati del figlio nonostante la deformità o forse proprio a motivo di questa, come direbbe Massimo Recalcati sull'unicità del figlio ("Le mani della madre"); una madre coraggio, come si è detto in sala, perché non si scoraggia e combatte per lo sviluppo e l'emancipazione del figlio sacrificando se stessa e le proprie aspirazioni professionali; un padre presente come dovrebbe essere sempre ma vediamo che in situazioni anche più semplici non lo è nella nostra società, per svariati motivi; una sorella maggiore, come spesso in questi casi un po' non vista dai genitori a causa della focalizzazione delle attenzioni sul fratello malato, e che soffre ma in silenzio essendo dovuta crescere precocemente; un'amica invidiosa che, contrariamente alle apparenze, si appropria  temporaneamente della sua identità per attirare le attenzioni degli amici (un fenomeno tipicamente adolescenziale); Jack, l'amico di Auggie, ragazzo sensibile che lo tradisce nel timore di apparire uno sfigato e che è vittima della pressione del gruppo; ed infine il bullo, ragazzo poco empatico (come sono nella realtà i bulli) che non perde occasione per umiliare Auggie in pubblico, il suo palcoscenico. Il bullismo purtroppo rappresenta una drammatica realtà delle scuole dei nostri giorni, caratterizzata da un più elevato livello di aggressività nei rapporti interpersonali rispetto al passato; è noto inoltre che i genitori proteggono i figli bulli quando non li incoraggino più o meno intenzionalmente.

Comunque tutto è perfetto (la famiglia, il mondo della scuola) come nelle favole che si rispettino e contribuisce all'happy end, a dimostrazione anche del fatto che gli americani non perdono occasione per fornire e propagandare un'immagine di sé molto più positiva della realtà.

Mimosa

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Film sponsorizzato dalla Kleenex, che sul flusso delle lacrime scorre fino al prevedibile finale, anche se non ho potuto fare a meno di apprezzare la grande professionalità degli americani nel confezionare i film. Tutto perfetto, schematizzato, direi omologato. Citando Marco: “un orologio”.

Anticamente in Cina vi erano abilissimi fabbricanti di vasi splendidamente decorati che davano volutamente almeno una piccola pennellata sbagliata per donargli una personalità. Qui non l’ho vista.

Comunque nel suo genere un’opera dignitosa adatta a un pubblico di preadolescenti, perché educativa, o da vedere in prossimità del Natale, quando si è tutti più “buoni”.

Sempre interessante il dibattito, forse più del film.

 

Silente

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Si sa che i bambini non hanno preclusioni nei confronti dei "mostri" ed arrivano ad amarli quando assumono il ruolo di protagonisti nei film d'animazione, però è più che comprensibile la preoccupazione dei coniugi Pullman per l'inserimento scolastico di Auggie; la decisione viene presa dalla madre (la splendida e brava ultracinquantenne Julia Roberts dà ancora dei punti alle tante giovani pin-up del mondo del cinema) che vince i timori del titubante marito. Meno male che il sesso forte viene riabilitato dal Preside, accogliente e saggio che accetta di buongrado l'iscrizione del ragazzino alla sua scuola ed opera per inserirlo al meglio, ma che all'occorrenza si dimostra determinato ed inflessibile davanti alle recriminazioni e minacce dei genitori del viziato e prepotente Julian.  A proposito del preside mi ha un po' stupito la nostra brava conduttrice/insegnante di sostegno che gli ha contestato la scelta di mettere il succitato Julian nel terzetto di ragazzi destinati a far fare un giro di esplorazione della scuola: per me ha fatto bene consentendo ad Auggie di avere un primo riscontro veritiero e variegato della realtà (oltre a Julian, il buon Jack ed una insulsa ragazzina: un vero e proprio campione rappresentativo, in vista dell'impatto con l'intera classe di 20/30 ragazzi).
Il film ha uno svolgimento lineare e prevedibile ed alla fine Auggie conquista il rispetto e la simpatia di tutta la scuola: in fondo la bellezza/bruttezza sta negli occhi di chi guarda ed a fronte di una valutazione oggettiva che impone parametri canonici dettati tempo per tempo dalla moda, subentra e predomina quella soggettiva che prende il sopravvento non appena si entra in relazione diretta col soggetto ed Auggie è un bimbo intelligente, simpatico e generoso!
Nel dibattito di venerdì sera alcuni interventi, tra cui il mio, hanno trovato un po' azzardata  la scelta di inserire questo tipo di film in una programmazione cineforum perché troppo semplice e politicamente corretto, ma se ci si pensa, al di là dell'argomento bullismo, c'è tutta la tematica dell'importanza dell'aspetto fisico nelle relazioni sentimentali, di lavoro e sociali in genere.
Vista la durata di 114' avrei stralciato la figura dell'amica di Oliva, che oltre a non togliere niente al racconto, lo avrebbe ricondotto alla canonica ed ottimale durata di 90'.
Franco.   francogarga@gmail.com
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Parto subito col dire che NON è un film da inserire nel programma di un cineforum con qualche velleità, come penso sia il nostro. 

Un prodotto stucchevolmente politically correct, che avrei snobbato se lo avessero proposto in tv. 

Sono abbastanza stanca di questi patinati film americani. C’erano proprio tutti gli ingredienti della rappresentazione buonista alla Frank Capra: famiglia ricca e felice nonostante il mostriciattolo, padre immaturo ma presente e valido supporto alla madre coraggiosa e determinata, ma anche amorevole e con una brillante tesi di laurea nel cassetto, sorella trascurata ma che capisce e non crea problemi, con fidanzato nero (non siamo mica razzisti noi!), amica che sacrifica il suo ruolo da protagonista in favore dell’amica di cui invidia tutto, anche il fratellino, naturalmente  intelligentissimo e simpatico, bullo cresciuto da bulli ma che ha una illuminazione nell’ufficio del preside, e che preside!

Mi fermo qui. 

Trama tanto scontata da essere imbarazzante. Nemmeno una piccola tragedia, che avrebbe aggiunto un pizzico di dramma alla favola.

Bocciato su tutta la linea. 

Gerry