ORION MOVIES
CENTRO FRANCESCANO ARTISTICO ROSETUM
via Pisanello 1
20146 - MILANO
I
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In
between
Preferisco
questo titolo all’italiano Libere disobbedienti innamorate perché rende meglio
l’idea di donne che lottano per vedere riconosciuta la propria libertà, dinne
che si trovano fuori della tradizione, senza ancora un luogo dove sentirsi a
casa.
Donne
coraggiose che, nonostante lo stigma sociale e familiare, si mettono in gioco,
non senza sofferenze, per rivendicare il diritto di scegliere la propria vita.
C’è forse
un po’ troppa droga e un po’ troppa trasgressione, ma il film è sicuramente
incisivo.
Ambientato
a Tel Aviv, la meno ortodossa delle città israeliane, vero melting pot di
fuoriusciti da religioni rigidissime, dove convivono alcool, droga, sesso e
dove ha diritto di cittadinanza la comunità LGBT e il femminismo d’avanguardia.
Le tre
protagoniste, ognuna con il proprio percorso, escono dagli schemi imposti e
pagano in prima battuta con una profonda solitudine, uno sradicamento che
nemmeno il calore dell’amicizia sincera riesce a sedare.
Ognuna
con il proprio fardello, sulla terrazza, nella notte del « les jeux sont faits
», guardano preoccupate ma determinate verso il futuro che si sono scelte.
Io vedo
speranza in questa scena, voglio pensare che ce la faranno, voglio sperare che
il coraggio di strappare con l’ambiente che sentono falso e oppressivo avrà un
esisto positivo se non già per loro, le pioniere, per le donne che seguiranno
il loro esempio.
Gerry
Interessante
questo sguardo della regista su una realtà di cui non si parla mai, quella degli
arabi in Palestina, una condizione paradossale di immigrati in casa propria
essendo stati espropriati dalla loro terra nel lontano ma vicino
1948.
E
tuttavia l’accento non è posto sulle discriminazioni nei loro confronti che
vengono appena accennate, ma sui problemi che tre ragazze molto diverse tra loro
si trovano ad avere, soprattutto nelle relazioni familiari e coi partner.
Della
famiglia di Layla non si sa nulla ma la vediamo decisa e agguerrita
nell’affermazione professionale e di sé nei confronti degli uomini ancora
portatori di una visione patriarcale dei rapporti di coppia nonostante
l’apparente modernità nei comportamenti.
Salma,
di famiglia cattolica praticante e tradizionale, decide per la rottura di fronte
all’atteggiamento di forte chiusura nei confronti del suo orientamento
omosessuale.
Ma
anche Nuur, pur condividendo il credo religioso dei genitori lotta a modo suo
(aiutata dalle nuove amiche) per l’affermazione del suo diritto di sposarsi per
amare ed essere amata e non per convenzione. Fortunatamente qui vediamo un padre
amorevole che le da fiducia e la comprende nella sua scelta di non volere più
sposare il fidanzato.
È
bello vedere nel film come ancora una volta la solidarietà femminile prevale sui
pregiudizi e le perplessità che inizialmente Layla e Salma nutrivano per
Nuur.
Tutte
e tre le donne, a seguito delle esperienze di rottura familiare e di coppia,
subiscono delle trasformazioni ed intraprendono un percorso esistenziale ed
identitario fatto di una maggiore consapevolezza delle difficoltà che esso
comporterà. Da qui credo i loro sguardi un po’ persi e preoccupati nella scena
finale della terrazza sulla città al tramonto.
In
realtà il film descrive un doppio essere nel mezzo, fra cielo e mare: come
palestinesi in terra di Israele (ossia pseudo migranti) e come donne in
evoluzione rispetto alle famiglie di appartenenza.
Mimosa
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Libere,
perlomeno alla costante ricerca della libertà, ma con che
sforzi.
Disobbedienti,
per non venire schiacciate da un sistema che le vuole
sottomesse.
Innamorate,
con tutte le romantiche illusioni e le delusioni che spesso comporta
esserlo.
In
un universo tutto femminile, molto ben interpretato, le tre protagoniste
combattono per riuscire a superare un mondo fatto a misura d’uomo e conquistare
la giusta indipendenza, considerazione e libertà. La regista ci presenta delle
situazioni anche molto problematiche senza però mai calcare la mano. Persino
nella drammatica scena dello stupro preferisce puntare sullo squallore piuttosto
che sulla violenza. Le ragazze suscitano tenerezza e, una volta superata la
cortina di fumo che le avvolge, si finisce per parteggiare per
loro.
Molto
ben connotate nelle tipologie, si differenziano per il loro modo di affrontare
la vita ma allo stesso tempo sono coalizzate in una solida amicizia tutta la
femminile.
Un film che ci riporta indietro di anni, quando anche da noi era molto evidente la differenza tra essere nati donna o uomo. Dopo l’ondata del ’68 molte cose sono cambiate ma ancora c’è moltissimo da fare e come per la democrazia bisognerà puntare a migliorare sempre più la situazione e continuare a lavorare perché, visto l’orientamento politico degli ultimi tempi, quello che finora si è ottenuto non vada perso.
Buon 8 marzo a tutte.
Il film che avevo già visto,
forse perché conoscevo trama e l’esito, mi ha coinvolto meno, mi è sembrato un
po’ piatto, semplice, benché l’interpretazione della Golino mi sia apparsa anche
stavolta più che convincente.
Due brevi considerazioni che la seconda visione
mi ha permesso di focalizzare meglio.
Il primo aspetto, che già mi aveva
incuriosito, è il confronto tra Teo e il robot pulitore che “vede” spigoli ed
angoli sapendo regolare la velocità rispetto all’ostacolo, mentre l’esistenza di
Teo è un continuo rincorrere, inciampare e urtarsi con amante, fidanzata, Emma,
colleghi, madre e famiglia, alla ricerca soprattutto della giusta distanza.
Grazie a Emma, che ha forti relazioni femminili, riuscirà forse a dare
profondità ai rapporti con sé (cibo e corpo) e con le altre persone.
La
scena, invece, che risulta fondamentale per la crescita di Teo, lo coglie, dopo
una notte di piacere, osservare sordo, per la finestra chiusa, una
donna che comunica a gesti dal terrazzo con un'altra donna, e, un attimo dopo,
assistere muto al ritorno nella stanza di Emma che ignara, come lei
stessa dirà, si metterà a parlare rivolgendosi al cuscino. È un momento di
presa di coscienza: il rapporto, se dovrà continuare, non potrà reggersi
sull’attrazione o sulla patetica e ingenua convinzione che è tutto normale, c'è
un colore nascosto nelle cose. E cosi Teo scappa... ma poi torna... torna.
Quartotempo
____________________________________________________________________Bel film serio ma non serioso, ben interpretato dai due splendidi attori
protagonisti, che ci induce a riflettere sulla condizione esistenziali e di vita
della popolazione colpita da cecità (in Italia nel 2016 dalle statistiche INPS i
ciechi erano 116.932) che nell'ambito della variegata platea delle infermità è
probabilmente la più disperata e temuta.
Emma è una donna forte che ha saputo
reagire alla sua gravissima menomazione e dopo una più che comprensibile fase di
disperazione è riuscita a rendersi autonoma, a svolgere un dignitoso lavoro da
osteopata che la soddisfa, ad intessere gratificanti relazioni sociali ed
amicizie, conseguendo un equilibrio ed una serenità invidiabili, come quando
accenna ad una sua precedente sfortunata esperienza matrimoniale senza alcun
rimpianto od acrimonia. Sebbene priva della vista, riesce a guardare il mondo
con più esattezza e profondità di Teo che, per professione la realtà la deve
studiare per poterla manipolare e rappresentare in modo artefatto e funzionale
alla vendita di prodotti di consumo dei suoi clienti. Teo è bello, interessante
e non trovo sia così farfallone come dipinto in alcune recensioni; lui si fa
fare e si affeziona ed è restio a troncare i rapporti sentimentali: ideale per
lui una società poligamica! L'incontro con Teo ed il relativo reciproco
innamoramento (sgradevolissimo e per me completamente fuori contesto la
scommessa col collega di riuscire a portarla a letto) finisce per porre Emma
nella drammatica condizione di dover scegliere tra l'amore e quel rispetto per
se stessa che le aveva sino a quel momento consentito di far fronte con dignità
ai problemi derivanti dal suo handicap ed il cui sacrificio alla lunga avrebbe
inevitabilmente minato alla radice il loro rapporto; resiste a lungo alle
pressioni di un Teo che si proclama pentito e disperato e solo
nell'azzeccatissimo fotogramma finale fa trasparire l'intenzione di riallacciare
la relazione nella forse troppo ottimistica aspettativa che possa assumere quei
caratteri di stabilità ed esclusività da lei ritenuti
imprescindibili.
Interessante anche la figura di Nadia che mi piace pensare
voglia rappresentare un vero e proprio flashback della protagonista da giovane.
Nadia è bloccata perché giudica Emma come una eccezione, un esempio unico ed
irraggiungibile; solo quando la vede in crisi capisce che non è geneticamente
diversa da lei e la possibilità ed il desiderio di aiutarla le danno la forza di
provare a rendersi autonoma ed affrontare la vita con la consapevolezza che
malgrado le enormi difficoltà valga la pena di essere vissuta.
franco. francogarga@gmail.com
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I titoli iniziali su fondo
nero con solo le voci mi ha fatto immaginare per qualche minuto che sarebbe
continuato così. Spiazzante. Sono stati fatti i film muti, questo sarebbe stato
il primo film cieco. Poi, invece, il film è continuato nel modo tradizionale.
Anche troppo.
Cosa c’è di meglio di un
pubblicitario farfallone che s’innamora di una bella ragazza non vedente per
raccontare quel mondo e i suoi problemi. La storia però è risultata poco
convincente, un po’ esangue, i personaggi non coinvolgenti. Insomma non mi ha
persuaso. Soldini ha fatto di meglio.
P.S. C’è una categoria di
lavoratori che viene particolarmente presa in giro dal cinema, i pubblicitari,
meglio se creativi. Vengono quasi sempre rappresentati come persone leggere,
bizzarre e superficiali. Ho lavorato quasi 40 anni nelle agenzie pubblicitarie
come art director, posso dire che è un lavoro tutt’altro che semplice,
stressante, anche se per certi aspetti divertente (in agenzia a volte si diceva
“sempre meglio che lavorare”). Effettivamente però ci sono alcuni che sembrano
proprio scimmiottare nella realtà i creativi mostrati nel cinema. Dimenticavo,
un’altra categoria presa in giro è quella degli psicologi.
Mia moglie psicologa me
lo ricordava.
Bella coppia.
Silente
CHIAMAMI COL TUO NOME
L'eccessiva lunghezza, la staticità e la ripetitività delle scene che si
susseguono sullo schermo rischiano di annoiare lo spettatore, ma sono forse
necessarie per creare la giusta atmosfera ove rappresentare la prima conoscenza
tra Elio ed Oliver ed il graduale evolversi del loro rapporto in un vera e
propria relazione amorosa.
Protagonista assoluto è Elio che dopo una
diffidenza iniziale verso questo intruso disinvolto al limite dell'arroganza,
sicuro di se al punto di correggere le affermazioni del professore che lo ospita
(carino e significativo lo scambio di battute sull'etimo del nome albicocca) e
benvoluto da tutti, ne rimane affascinato e non appena percepita la sensazione
di poter essere ricambiato (il dantesco "amor ch'a nulla amato amar perdona") dà
libero sfogo ai suoi sentimenti e se ne innamora.
Sorprendente la maturità di
questo diciassettenne bello, colto, sensibile che non si turba per questo
sentimento verso una persona del suo stesso sesso e lo coltiva con costanza e
determinazione malgrado le iniziali ritrosie di Oliver.
Determinante
l'educazione ricevuta dai due splendidi genitori che certi di aver fornito il
figlio degli strumenti necessari per affrontare la vita, gli accordano una piena
libertà d'azione col fine unico di contribuire alla sua felicità; riscontri
positivi ne hanno avuti a iosa in termini di brillanti esiti scolastici ed
artistici, ma sopratutto per l'affetto e la confidenza che si sono saputi
conquistare.
Il rapporto Elio-Oliver vive tutte le fasi classiche di una
passione intensa ma inevitabilmente destinata ad essere di breve durata; il
"tradimento" di Elio con Marzia potrebbe essere letto come un ultimo tentativo
per uscire da una relazione imbarazzante e non accettata sino in fondo (il
classico "chiodo scaccia chiodo"), ritengo invece sia stata solo una ripicca di
un innamorato che si è sentito momentaneamente trascurato. Questo primo rapporto
sessuale completo tra i due adolescenti consumato con leggerezza ed allegria
che, alla luce del seguito della vicenda, avrebbe potuto creare rancore ed una
frattura insanabile tra di loro, viene ben metabolizzato anche da Marzia a
riprova della maturità e ragionevolezza che quell'ambiente colto ha saputo
trasmettere ai ragazzi. L'accenno al libro di poesie di Antonia Pozzi prestato
da Elio a Marzia non è certo casuale e stigmatizza il contrasto con
l'intransigenza del padre della poetessa che troncando d'imperio il rapporto col
professore di greco contribuirà non poco a compromettere il fragile equilibrio
psicosentimentale di Antonia che a soli 26 anni finirà suicida nei campi presso
l'abbazia di Chiaravalle.
Leggendo qua e là recensioni su questo film mi
hanno infastidito osservazioni che arrivano a criticare Guadagnino perché ancora
una volta rende protagonista una famiglia benestante e colta, quasi che
ricchezza e cultura fossero delle colpe: lo sarebbero se volte allo spreco,
all''ozio, all'esibizione sfacciata, alla prepotenza verso i sottoposti ed alla
difesa di una situazione di privilegio a scapito degli altri, ma qui l'agiatezza
è chiaramente al servizio della cultura, del bello, della tolleranza e
l'accettazione piena delle inclinazioni sessuali dell'unico figlio maschio è la
prova lampante della loro coerenza e rettitudine. Anche riferendosi al presente,
al di là delle affermazioni formali e di principio, ne dovrà ancora passare di
acqua sotto i ponti prima dell'accettazione completa e convinta del mondo lgbt e
non me ne voglia l'amico Marco, ma pur guardandosi bene dal censurare l'amore
omo gli è sfuggito l'augurio che, superato l'attimo di sbandamento, Elio possa
rientrare sulla retta via. Nel dibattito di venerdì si è anche colpevolizzato
Oliver non per il rapporto omosesuale in se (sarebbe stato politicamente
scorrettissimo!) ma per la minor età di Elio; sotto il profilo giuridico è
ovviamente necessario fissare delle date, ma nella sostanza si parla di un
diciassettenne colto e preparato: mi viene in mente il cancan della vicenda
Berlusconi-Rubyrubacuori cui mancavano poche settimane per la maggior età, che
ha tanto sollazzato l'Italia intera, ma che nello stesso tempo ha gettato
discredito sia sui partiti al governo che su quelli dell'opposizione che l'hanno
cavalcata e che ora si lamentano e stupiscono dello strepitoso successo dei
movimenti protestari, antisistema e populisti.
franco. francogarga@gmail.com
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Inizialmente infastidita
dalle tavole imbandite di tutto punto per la colazione che richiamavano le
immagini della pubblicità mi sono ben presto resa conto che si trattava di
tutt'altro man mano che emergeva il quadro di una condizione alto borghese e
intellettuale della famiglia di Elio. Difficile non sentirsi infastiditi anche
da questo se non si appartiene a quella classe sociale ma si finisce per
apprezzarne gli aspetti positivi se non ci si lascia prendere
dall'invidia.
Tutto ciò che si vede e
che si sente (il modo di assaporare i cibi, il raccogliere i frutti della
natura, il contatto con l'acqua, la musica, le preziose statue dell'arte
classica, i bellissimi giovani corpi di ragazzi e ragazze, la mollezza estiva e
la vita un po' contemplativa) converge verso il bello ed una sensualità che
coinvolge tutti gli organi di senso di un ragazzo in piena tempesta ormonale e
lo porta a vivere un'esperienza omosessuale e romantica
inaspettata.
Nessuno può dire se
quello stato eccitatorio e mentale sarà il preludio ad un orientamento
omosessuale o semplicemente entrerà a far parte nel mondo della ricchezza
immaginaria che accompagna la vita sessuale.
È bello comunque che il
regista ce ne abbia parlato come di una cosa assolutamente naturale che
semplicemente accade.
Mimosa
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Tutto si svolge in quelle lunghe giornate assolate di
vacanza, quando da ragazzi si gironzolava in bici senza meta, con qualche
nuotata per rinfrescarsi, in una situazione da “Azzurro” di Paolo Conte, che ti
fa venire nostalgia di quei momenti.
Un
sensibile adolescente, ancora confuso sulle sue preferenze sessuali, si infatua
di un affascinante giovane uomo dalle fattezze di Adone. Non si è certi se
continuerà per questa strada o se si è trattato di un singolo episodio ma la
scena finale sui titoli di coda, dove il bravo Timothée Chalamet ci fa vedere
tutte le emozioni che gli passano per la testa, fino alle lacrime, con un ultimo
sguardo in macchina che per un secondo ti fa sentire che è lui che guarda te, ci
fa capire quanto la cosa l’abbia segnato profondamente.
Un
difetto del film è forse quello di essere troppo lungo, è anche vero che forse
il regista voleva immergerci in quel contesto di giornate languidamente noiose
che spesso inducono alla ricerca di forti emozioni. La storia tra i due è molto
bella, anche se non sono riuscito ad apprezzarla fino fondo perché ciò che è
rimasto, ormai solo a livello inconscio, di una formazione cattolica del passato
me l’ha tenuta distante.
Curiosa la pratica sessuale con la
pesca.
Silente
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Il film di Guadagnino è noioso, pomposo e
irrealistico.
Avrei tagliato senza pietà
tutta la parte finale della gita a due nel bergamasco, che ha appesantito
inutilmente un film già “pesante”.
Guadagnino vorrebbe forse
essere De Sica o Visconti o anche solo Sorrentino, ma non c’è speranza.
Il film è lunghissimo e il
montaggio sincopato mi ha messa in difficoltà.
I genitori mi sono
sembrati fuori dal mondo, soprattutto dal mondo fuori dalla villa
settecentesca dove si viveva di albicocche, Heptaméron (sic!), virtuosismo
pianistico, tuffi nella bella e insolita piscina e baci alla mamma.
La leggerezza con cui
questi genitori, un po’ troppo intellettuali, un po’ troppo ebreo-americani,
hanno incoraggiato l’infatuazione del figlio adolescente (e ampiamente
minorenne) rasenta la sconsideratezza.
Vedremo poi che il
bell’americano altri non era che un banale eterosessuale che si è concesso una
trasgressione estiva prima del matrimonio...
Il film finisce per essere
un elogio dell’omosessualità maschile; le foto delle statue attribuite a
Prassitele, gli sguardi e gli approcci, fino alla filippica finale del
padre...
Le donne sono solo figure
di contorno e anche un po’ ridicole, descritte da chi della psicologia
femminile non capisce gran che.
Immeritato il premio alla
sceneggiatura.
Avrei premiato invece la
straordinaria prova d’attore del giovane Chalamet, che da solo salva il film,
assieme alla campagna cremasca.
Gerry
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Il film mi è apparso, per il ritmo blando iniziale, un po’
noioso: la bella scena intorno al monumento ai caduti di Pandino (una sorta di
rito del corteggiamento tra amore e morte) interrompe un montaggio di
brevissime sequenze.
Centrale è il corpo, presente ovunque nel film con la sua carica di offerta e
ricerca, flessuoso, non immobile né statuario, come appunto sottolinea il
padre. Un’ulteriore conferma il libro di poesie della Pozzi, che media il
difficile rapporto tra Elio e Marzia.
Oltre alla scena della pesca è intrigante anche la ferita che ostenta Oliver,
simile alle corruzioni delle statue che riemergono dal lago. Anche l’acqua, le
immersioni, i bagni prima e dopo gli amplessi, le cascate … è un simbolo
ricorrente.
Il tema dell’omosessualità, ripensandoci, è tangente a quello, molto più
critico, del definire il proprio orientamento sessuale; in questo il
riferimento al mondo greco non mi sembra appropriato. Oliver non vuole
indottrinare il giovane, ma, Chiamami
col tuo nome, essere un Elio che deve scoprire dove indirizzare il
proprio desiderio, che poi sfocerà nel matrimonio.
Ed il giovane è stato usato? Oliver gli ha posto le domande e offerto una
risposta, ma Elio non rischia il riformatorio, perché il vero centro
dell’azione è apparsa la madre, per restare al Simposio di Platone, molto più
Diotima di quanto Oliver possa essere un Socrate. È lei che, tra una marmellata
e una lettura in tedesco con traduzione simultanea, tiene il controllo della
famiglia, ne dà i tempi e le soluzioni, il modo di praticare l’ebraismo, le
prove da superare come la camicia regalo della coppia gay, le confidenze di
Oliver, il viaggio a Bergamo, il recupero in auto del figlio. Infine la
telefonata con con l’annuncio che la prossima assistente sarà femmina:
decolpevolizza Oliver, ma prospetta anche un’altra calda estate per Elio… e
l’ingenuo padre crede che lei non sappia niente!
Quartotempo