ORION    MOVIES

CENTRO FRANCESCANO ARTISTICO ROSETUM

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20146 - MILANO

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LIBERE,DISUBBIDIENTI, INNAMORATE

In between

 

Preferisco questo titolo all’italiano Libere disobbedienti innamorate perché rende meglio l’idea di donne che lottano per vedere riconosciuta la propria libertà, dinne che si trovano fuori della tradizione, senza ancora un luogo dove sentirsi a casa.

Donne coraggiose che, nonostante lo stigma sociale e familiare, si mettono in gioco, non senza sofferenze, per rivendicare il diritto di scegliere la propria vita.

C’è forse un po’ troppa droga e un po’ troppa trasgressione, ma il film è sicuramente incisivo.

Ambientato a Tel Aviv, la meno ortodossa delle città israeliane, vero melting pot di fuoriusciti da religioni rigidissime, dove convivono alcool, droga, sesso e dove ha diritto di cittadinanza la comunità LGBT e il femminismo d’avanguardia.

Le tre protagoniste, ognuna con il proprio percorso, escono dagli schemi imposti e pagano in prima battuta con una profonda solitudine, uno sradicamento che nemmeno il calore dell’amicizia sincera riesce a sedare.

Ognuna con il proprio fardello, sulla terrazza, nella notte del « les jeux sont faits », guardano preoccupate ma determinate verso il futuro che si sono scelte.

Io vedo speranza in questa scena, voglio pensare che ce la faranno, voglio sperare che il coraggio di strappare con l’ambiente che sentono falso e oppressivo avrà un esisto positivo se non già per loro, le pioniere, per le donne che seguiranno il loro esempio.

 

Gerry

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Dura la vita delle ragazze palestinesi da marito a Tel Aviv!
O si fa la scelta della laica Layla di rendersi autonoma e libera sfidando l'intero universo maschile del luogo con atteggiamenti sfrontati od autolesionistici a base di fumo, droga, liquori e vestiti provocanti e finendo per restare sola, o si sopporta pazientemente come fa Salma i ripetuti e vani riti di proposte matrimoniali intavolate dai genitori, inconsapevoli dell'inclinazione saffica della figlia o come Nuur si è talmente condizionate dalle tradizioni famigliari e dalla religione da accettare acriticamente il promesso sposo scelto dal padre.  La coabitazione fortuita con Layla e Salma ha però un forte impatto su Nuur che grazie a loro, dopo le perplessità iniziali, vede squarciarsi il velo che limitava e condizionava la sua visione del mondo e la sua vita e le nascondeva l'ipocrita religiosità e la prepotente volontà di sopraffazione del fidanzato che finisce per violentarla. Scatta pressoché automaticamente la solidarietà delle due coinquiline che si attivano per "incastrare" il perfido stupratore, costringendolo a liberare Nuur dalla promessa di matrimonio davanti al padre: unica possibilità per la ragazza di conciliare la tradizione famigliare col ripudio dell'odioso pretendente. Diversamente quel padre apparso così affettuoso e comprensivo con la figlia avrebbe certamente assunto lo stesso intransigente atteggiamento dei genitori di Salma che, accortasi finalmente delle per loro inaccettabili preferenze sessuali della figlia, la costringono a fuggire e riparare all'estero per non finire reclusa in casa od in manicomio.
La situazione nel nostro Paese è palesemente molto diversa: c'è una sostanziale parità di diritto, ma per la donna è forse ancora difficile liberarsi da una atavica e sottile dipendenza   psicologica che, al di fuori dello specifico ed insostituibile ruolo procreativo oggigiorno tutelato da norme specifiche, la porta ad accollarsi volontariamente  la maggior parte delle incombenze familiari per non disturbare il maritino, pregiudicandosi la possibilità di realizzarsi compiutamente nel mondo del lavoro con inevitabili ricadute in termini retributivi e di carriera. Non c'è legge o contratto sindacale che tenga: una piena parità le nostre bellicose e ciò malgrado adorabili "femministe" se la debbono conquistare da sole nell'ambito del nucleo familiare; un rapporto pienamente paritario non può d'altronde che far bene alla coppia anche sul piano affettivo evitando risentimenti ed asti che alla lunga maturano nell'animo di chi non si sente ripagato dei sacrifici fatti, al di là delle mimose dell'8 marzo e dei cuoricini a S. Valentino.
franco        francogarga@gmail.com
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Interessante questo sguardo della regista su una realtà di cui non si parla mai, quella degli arabi in Palestina, una condizione paradossale di immigrati in casa propria essendo stati espropriati dalla loro terra nel lontano ma vicino 1948.

E tuttavia l’accento non è posto sulle discriminazioni nei loro confronti che vengono appena accennate, ma sui problemi che tre ragazze molto diverse tra loro si trovano ad avere, soprattutto nelle relazioni familiari e coi partner.

Della famiglia di Layla non si sa nulla ma la vediamo decisa e agguerrita nell’affermazione professionale e di sé nei confronti degli uomini ancora portatori di una visione patriarcale dei rapporti di coppia nonostante l’apparente modernità nei comportamenti.

Salma, di famiglia cattolica praticante e tradizionale, decide per la rottura di fronte all’atteggiamento di forte chiusura nei confronti del suo orientamento omosessuale.

Ma anche Nuur, pur condividendo il credo religioso dei genitori lotta a modo suo (aiutata dalle nuove amiche) per l’affermazione del suo diritto di sposarsi per amare ed essere amata e non per convenzione. Fortunatamente qui vediamo un padre amorevole che le da fiducia e la comprende nella sua scelta di non volere più sposare il fidanzato.

È bello vedere nel film come ancora una volta la solidarietà femminile prevale sui pregiudizi e le perplessità che inizialmente Layla e Salma nutrivano per Nuur.

Tutte e tre le donne, a seguito delle esperienze di rottura familiare e di coppia, subiscono delle trasformazioni ed intraprendono un percorso esistenziale ed identitario fatto di una maggiore consapevolezza delle difficoltà che esso comporterà. Da qui credo i loro sguardi un po’ persi e preoccupati nella scena finale della terrazza sulla città al tramonto.

In realtà il film descrive un doppio essere nel mezzo, fra cielo e mare: come palestinesi in terra di Israele (ossia pseudo migranti) e come donne in evoluzione rispetto alle famiglie di appartenenza.

Mimosa

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Libere, perlomeno alla costante ricerca della libertà, ma con che sforzi.

Disobbedienti, per non venire schiacciate da un sistema che le vuole sottomesse.

Innamorate, con tutte le romantiche illusioni e le delusioni che spesso comporta esserlo.

 

In un universo tutto femminile, molto ben interpretato, le tre protagoniste combattono per riuscire a superare un mondo fatto a misura d’uomo e conquistare la giusta indipendenza, considerazione e libertà. La regista ci presenta delle situazioni anche molto problematiche senza però mai calcare la mano. Persino nella drammatica scena dello stupro preferisce puntare sullo squallore piuttosto che sulla violenza. Le ragazze suscitano tenerezza e, una volta superata la cortina di fumo che le avvolge, si finisce per parteggiare per loro.

Molto ben connotate nelle tipologie, si differenziano per il loro modo di affrontare la vita ma allo stesso tempo sono coalizzate in una solida amicizia tutta la femminile.

Un film che ci riporta indietro di anni, quando anche da noi era molto evidente la differenza tra essere nati donna o uomo. Dopo l’ondata del ’68 molte cose sono cambiate ma ancora c’è moltissimo da fare e come per la democrazia bisognerà puntare a migliorare sempre più la situazione e continuare a lavorare perché, visto l’orientamento politico degli ultimi tempi, quello che finora si è ottenuto non vada perso.


Buon 8 marzo a tutte.



Silente



IL  COLORE  NASCOSTO  DELLE COSE

Il film che avevo già visto, forse perché conoscevo trama e l’esito, mi ha coinvolto meno, mi è sembrato un po’ piatto, semplice, benché l’interpretazione della Golino mi sia apparsa anche stavolta più che convincente.
Due brevi considerazioni che la seconda visione mi ha permesso di focalizzare meglio.
Il primo aspetto, che già mi aveva incuriosito, è il confronto tra Teo e il robot pulitore che “vede” spigoli ed angoli sapendo regolare la velocità rispetto all’ostacolo, mentre l’esistenza di Teo è un continuo rincorrere, inciampare e urtarsi con amante, fidanzata, Emma, colleghi, madre e famiglia, alla ricerca soprattutto della giusta distanza. Grazie a Emma, che ha forti relazioni femminili, riuscirà forse a dare profondità ai rapporti con sé (cibo e corpo) e con le altre persone.
La scena, invece, che risulta fondamentale per la crescita di Teo, lo coglie, dopo una notte di piacere, osservare sordo, per la finestra chiusa, una donna che comunica a gesti dal terrazzo con un'altra donna, e, un attimo dopo, assistere muto al ritorno nella stanza di Emma che ignara, come lei stessa dirà, si metterà  a parlare rivolgendosi al cuscino. È un momento di presa di coscienza: il rapporto, se dovrà continuare, non potrà reggersi sull’attrazione o sulla patetica e ingenua convinzione che è tutto normale, c'è un colore nascosto nelle cose. E cosi Teo scappa... ma poi torna... torna.

Quartotempo

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Bel film serio ma non serioso, ben interpretato dai due splendidi attori protagonisti, che ci induce a riflettere sulla condizione esistenziali e di vita della popolazione colpita da cecità (in Italia nel 2016 dalle statistiche INPS i ciechi erano 116.932) che nell'ambito della variegata platea delle infermità è probabilmente la più disperata e temuta.
Emma è una donna forte che ha saputo reagire alla sua gravissima menomazione e dopo una più che comprensibile fase di disperazione è riuscita a rendersi autonoma, a svolgere un dignitoso lavoro da osteopata che la soddisfa, ad intessere gratificanti relazioni sociali ed amicizie, conseguendo un equilibrio ed una serenità invidiabili, come quando accenna ad una sua precedente sfortunata esperienza matrimoniale senza alcun rimpianto od acrimonia. Sebbene priva della vista, riesce a guardare il mondo con più esattezza e profondità di Teo che, per professione la realtà la deve studiare per poterla manipolare e rappresentare in modo artefatto e funzionale alla vendita di prodotti di consumo dei suoi clienti. Teo è bello, interessante e non trovo sia così farfallone come dipinto in alcune recensioni; lui si fa fare e si affeziona ed è restio a troncare i rapporti sentimentali: ideale per lui una società poligamica!  L'incontro con Teo ed il relativo reciproco innamoramento (sgradevolissimo e per me completamente fuori contesto la scommessa col collega di riuscire a portarla a letto) finisce per porre Emma nella drammatica condizione di dover scegliere tra l'amore e quel rispetto per se stessa che le aveva sino a quel momento consentito di far fronte con dignità ai problemi derivanti dal suo handicap ed il cui sacrificio alla lunga avrebbe inevitabilmente minato alla radice il loro rapporto; resiste a lungo alle pressioni di un Teo che si proclama pentito e disperato e solo nell'azzeccatissimo fotogramma finale fa trasparire l'intenzione di riallacciare la relazione nella forse troppo ottimistica aspettativa che possa assumere quei caratteri di stabilità ed esclusività da lei ritenuti imprescindibili.
Interessante anche la figura di Nadia che mi piace pensare voglia rappresentare un vero e proprio flashback della protagonista da giovane. Nadia è bloccata perché giudica Emma come una eccezione, un esempio unico ed irraggiungibile; solo quando la vede in crisi capisce che non è geneticamente diversa da lei e la possibilità ed il desiderio di aiutarla le danno la forza di provare a rendersi autonoma ed affrontare la vita con la consapevolezza che malgrado le enormi difficoltà valga la pena di essere vissuta.
franco.   francogarga@gmail.com
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I titoli iniziali su fondo nero con solo le voci mi ha fatto immaginare per qualche minuto che sarebbe continuato così. Spiazzante. Sono stati fatti i film muti, questo sarebbe stato il primo film cieco. Poi, invece, il film è continuato nel modo tradizionale. Anche troppo.

Cosa c’è di meglio di un pubblicitario farfallone che s’innamora di una bella ragazza non vedente per raccontare quel mondo e i suoi problemi. La storia però è risultata poco convincente, un po’ esangue, i personaggi non coinvolgenti. Insomma non mi ha persuaso. Soldini ha fatto di meglio.

 

P.S. C’è una categoria di lavoratori che viene particolarmente presa in giro dal cinema, i pubblicitari, meglio se creativi. Vengono quasi sempre rappresentati come persone leggere, bizzarre e superficiali. Ho lavorato quasi 40 anni nelle agenzie pubblicitarie come art director, posso dire che è un lavoro tutt’altro che semplice, stressante, anche se per certi aspetti divertente (in agenzia a volte si diceva “sempre meglio che lavorare”). Effettivamente però ci sono alcuni che sembrano proprio scimmiottare nella realtà i creativi mostrati nel cinema. Dimenticavo, un’altra categoria presa in giro è quella degli psicologi.

Mia moglie psicologa me lo ricordava.

Bella coppia.



Silente




CHIAMAMI COL TUO NOME



L'eccessiva lunghezza, la staticità e la ripetitività delle scene che si susseguono sullo schermo rischiano di annoiare lo spettatore, ma sono forse necessarie per creare la giusta atmosfera ove  rappresentare la prima conoscenza tra Elio ed Oliver ed il graduale evolversi del loro rapporto in un vera e propria relazione amorosa.
Protagonista assoluto è Elio che dopo una diffidenza iniziale verso questo intruso disinvolto al limite dell'arroganza, sicuro di se al punto di correggere le affermazioni del professore che lo ospita (carino e significativo lo scambio di battute sull'etimo del nome albicocca) e benvoluto da tutti, ne rimane affascinato e non appena percepita la sensazione di poter essere ricambiato (il dantesco "amor ch'a nulla amato amar perdona") dà libero sfogo ai suoi sentimenti e se ne innamora.
Sorprendente la maturità di questo diciassettenne bello, colto, sensibile che non si turba per questo sentimento verso una persona del suo stesso sesso e lo coltiva con costanza e determinazione malgrado le iniziali ritrosie di Oliver.
Determinante l'educazione ricevuta dai due splendidi genitori che certi di aver fornito il figlio degli strumenti necessari per affrontare la vita, gli accordano una piena libertà d'azione col fine unico di contribuire alla sua felicità; riscontri positivi ne hanno avuti a iosa in termini di brillanti esiti scolastici ed artistici, ma sopratutto per l'affetto e la confidenza che si sono saputi conquistare.
Il rapporto Elio-Oliver vive tutte le fasi classiche di una passione intensa ma inevitabilmente destinata ad essere di breve durata; il "tradimento" di Elio con Marzia potrebbe essere letto come un ultimo tentativo per uscire da una relazione imbarazzante e non accettata sino in fondo (il classico "chiodo scaccia chiodo"), ritengo invece sia stata solo una ripicca di un innamorato che si è sentito momentaneamente trascurato. Questo primo rapporto sessuale completo tra i due adolescenti consumato con leggerezza ed allegria che, alla luce del seguito della vicenda, avrebbe potuto creare rancore ed una frattura insanabile tra di loro, viene ben metabolizzato anche da Marzia a riprova della maturità e ragionevolezza che quell'ambiente colto ha saputo trasmettere ai ragazzi. L'accenno al libro di poesie di Antonia Pozzi prestato da Elio a Marzia non è certo casuale e stigmatizza il contrasto con l'intransigenza del padre della poetessa che troncando d'imperio il rapporto col professore di greco contribuirà non poco a compromettere il fragile equilibrio psicosentimentale di Antonia che a soli 26 anni finirà suicida nei campi presso l'abbazia di Chiaravalle.
Leggendo qua e là recensioni su questo film mi hanno infastidito osservazioni che arrivano a criticare Guadagnino perché ancora una volta rende protagonista una famiglia benestante e colta, quasi che ricchezza e cultura fossero delle colpe: lo sarebbero se volte allo spreco, all''ozio, all'esibizione sfacciata, alla prepotenza verso i sottoposti ed alla difesa di una situazione di privilegio a scapito degli altri, ma qui l'agiatezza è chiaramente al servizio della cultura, del bello, della tolleranza e l'accettazione piena delle inclinazioni sessuali dell'unico figlio maschio è la prova lampante della loro coerenza e rettitudine. Anche riferendosi al presente, al di là delle affermazioni formali e di principio, ne dovrà ancora passare di acqua sotto i ponti prima dell'accettazione completa e convinta del mondo lgbt e non me ne voglia l'amico Marco, ma pur guardandosi bene dal censurare l'amore omo gli è sfuggito l'augurio che, superato l'attimo di sbandamento, Elio possa rientrare sulla retta via.  Nel dibattito di venerdì si è anche colpevolizzato Oliver non per il rapporto omosesuale in se (sarebbe stato politicamente scorrettissimo!) ma per la minor età di Elio; sotto il profilo giuridico è ovviamente necessario fissare delle date, ma nella sostanza si parla di un diciassettenne colto e preparato: mi viene in mente il cancan della vicenda Berlusconi-Rubyrubacuori cui mancavano poche settimane per la maggior età, che ha tanto sollazzato l'Italia intera, ma che nello stesso tempo ha gettato discredito sia sui partiti al governo che su quelli dell'opposizione che l'hanno cavalcata e che ora si lamentano e stupiscono dello strepitoso successo dei movimenti protestari, antisistema e populisti.
franco.  francogarga@gmail.com

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Inizialmente infastidita dalle tavole imbandite di tutto punto per la colazione che richiamavano le immagini della pubblicità mi sono ben presto resa conto che si trattava di tutt'altro man mano che emergeva il quadro di una condizione alto borghese e intellettuale della famiglia di Elio. Difficile non sentirsi infastiditi anche da questo se non si appartiene a quella classe sociale ma si finisce per apprezzarne gli aspetti positivi se non ci si lascia prendere dall'invidia.

Tutto ciò che si vede e che si sente (il modo di assaporare i cibi, il raccogliere i frutti della natura, il contatto con l'acqua, la musica, le preziose statue dell'arte classica, i bellissimi giovani corpi di ragazzi e ragazze, la mollezza estiva e la vita un po' contemplativa) converge verso il bello ed una sensualità che coinvolge tutti gli organi di senso di un ragazzo in piena tempesta ormonale e lo porta a vivere un'esperienza omosessuale e romantica inaspettata.

Nessuno può dire se quello stato eccitatorio e mentale sarà il preludio ad un orientamento omosessuale o semplicemente entrerà a far parte nel mondo della ricchezza immaginaria che accompagna la vita sessuale.

È bello comunque che il regista ce ne abbia parlato come di una cosa assolutamente naturale che semplicemente accade.

Mimosa

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Tutto si svolge in quelle lunghe giornate assolate di vacanza, quando da ragazzi si gironzolava in bici senza meta, con qualche nuotata per rinfrescarsi, in una situazione da “Azzurro” di Paolo Conte, che ti fa venire nostalgia di quei momenti.

Un sensibile adolescente, ancora confuso sulle sue preferenze sessuali, si infatua di un affascinante giovane uomo dalle fattezze di Adone. Non si è certi se continuerà per questa strada o se si è trattato di un singolo episodio ma la scena finale sui titoli di coda, dove il bravo Timothée Chalamet ci fa vedere tutte le emozioni che gli passano per la testa, fino alle lacrime, con un ultimo sguardo in macchina che per un secondo ti fa sentire che è lui che guarda te, ci fa capire quanto la cosa l’abbia segnato profondamente.

Un difetto del film è forse quello di essere troppo lungo, è anche vero che forse il regista voleva immergerci in quel contesto di giornate languidamente noiose che spesso inducono alla ricerca di forti emozioni. La storia tra i due è molto bella, anche se non sono riuscito ad apprezzarla fino fondo perché ciò che è rimasto, ormai solo a livello inconscio, di una formazione cattolica del passato me l’ha tenuta distante.

Curiosa la pratica sessuale con la pesca.

 

Silente

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Il film di Guadagnino è noioso, pomposo e  irrealistico. 

Avrei tagliato senza pietà tutta la parte finale della gita a due nel bergamasco, che ha appesantito inutilmente un film già “pesante”.

Guadagnino vorrebbe forse essere De Sica o Visconti o anche solo Sorrentino, ma non c’è speranza. 

Il film è lunghissimo e il montaggio sincopato mi ha messa in difficoltà.

I genitori mi sono sembrati fuori dal mondo, soprattutto dal mondo fuori dalla villa  settecentesca dove si viveva di albicocche, Heptaméron (sic!), virtuosismo pianistico, tuffi nella bella e insolita piscina  e baci alla mamma. 

La leggerezza con cui questi genitori, un po’ troppo intellettuali, un po’ troppo ebreo-americani, hanno incoraggiato l’infatuazione  del figlio adolescente (e ampiamente minorenne) rasenta la sconsideratezza. 

Vedremo poi che il  bell’americano altri non era che un banale eterosessuale che si è concesso una trasgressione estiva prima del matrimonio...

Il film finisce per essere un elogio dell’omosessualità maschile; le foto delle statue attribuite a Prassitele, gli sguardi e gli approcci, fino alla filippica finale del padre... 

Le donne sono solo figure di contorno e anche un po’ ridicole, descritte da chi della psicologia femminile non capisce gran che. 

Immeritato il premio alla sceneggiatura.

Avrei premiato invece la straordinaria prova d’attore del giovane Chalamet, che da solo salva il film, assieme alla campagna cremasca.


Gerry



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Il film mi è apparso, per il ritmo blando iniziale, un po’ noioso: la bella scena intorno al monumento ai caduti di Pandino (una sorta di rito del corteggiamento tra amore e morte) interrompe un montaggio di brevissime sequenze.
Centrale è il corpo, presente ovunque nel film con la sua carica di offerta e ricerca, flessuoso, non immobile né statuario, come appunto sottolinea il padre. Un’ulteriore conferma il libro di poesie della Pozzi, che media il difficile rapporto tra Elio e Marzia.
Oltre alla scena della pesca è intrigante anche la ferita che ostenta Oliver, simile alle corruzioni delle statue che riemergono dal lago. Anche l’acqua, le immersioni, i bagni prima e dopo gli amplessi, le cascate … è un simbolo ricorrente.
Il tema dell’omosessualità, ripensandoci, è tangente a quello, molto più critico, del definire il proprio orientamento sessuale; in questo il riferimento al mondo greco non mi sembra appropriato. Oliver non vuole indottrinare il giovane, ma, Chiamami col tuo nome, essere un Elio che deve scoprire dove indirizzare il proprio desiderio, che poi sfocerà nel matrimonio.
Ed il giovane è stato usato? Oliver gli ha posto le domande e offerto una risposta, ma Elio non rischia il riformatorio, perché il vero centro dell’azione è apparsa la madre, per restare al Simposio di Platone, molto più Diotima di quanto Oliver possa essere un Socrate. È lei che, tra una marmellata e una lettura in tedesco con traduzione simultanea, tiene il controllo della famiglia, ne dà i tempi e le soluzioni, il modo di praticare l’ebraismo, le prove da superare come la camicia regalo della coppia gay, le confidenze di Oliver, il viaggio a Bergamo, il recupero in auto del figlio. Infine la telefonata con con l’annuncio che la prossima assistente sarà femmina: decolpevolizza Oliver, ma prospetta anche un’altra calda estate per Elio… e l’ingenuo padre crede che lei non sappia niente!

Quartotempo