Il cast (torna su)
Regia:
Bernardo Bertolucci
Sceneggiatura:
Gilbert Adair
Attori:
Michael Pitt .... Matthew
Eva Green .... Isabelle
Louis Garrel .... Theo
Anna Chancellor .... Mother
Robin Renucci .... Father
Jean-Pierre Kalfon .... Himself
Jean-Pierre Léaud .... Himself
Florian Cadiou .... Patrick
Prodotto da:
Jeremy Thomas
Fotografia:
Fabio Cianchetti
Montaggio:
Jacopo Quadri
Costumi:
Louise Stjernsward
Nazione: Italia / Francia / UK / USA
Durata: 115'
La trama (torna su)
Siamo a Parigi nel 1968. Isabelle e Theo, fratelli gemelli, rimangono soli a condividere l'appartamento, mentre i genitori vanno in vacanza. Il numero degli occupanti della casa sale a tre quando i due giovani incontrano Matthew, un ragazzo americano, alla Cinématéque. La conoscenza intima fra di loro cresce a livello esponenziale attraverso un'esplorazione continua e crescente di emozioni, erotismo e giochi estremi, conflitti e affinità. La società del '68 è in fermento e anela alla libertà come loro. |
Il Giorno (2/9/2003) Andrea Martini |
VENEZIA - I festival dovrebbero essere, almeno loro, il tempio del cinema. Invece sono fatti quasi sempre di film. Ecco perché, quando il cinema si presenta, gli spettatori fanno fatica a riconoscerlo. Ma quando ha la forza trascinante di immagini che s'imprimono al tempo stesso nella mente e nel cuore viene infranto l'ultimo diaframma che separa la platea dallo schermo. Non si tratta di autobiografia o di memoria (nonostante i richiami della colonna sonora, a partire dal Je ne regrette rien della Piaf) ma di inquadrature, di sequenze che raddoppiano miracolosamente la vita. Il trio di The Dreamers - due gemelli francesi e un ragazzo americano - ci arrivano dal romanzo di Gilbert Adair ma echeggiano Cocteau (Les enfants terribles), ritraggono l'esistenza quotidiana nascondendosi prima nelle sale cinematografiche parigine e poi nell'appartamento lasciato loro dai genitori. Siamo in pieno Sessantotto, la "rivoluzione" ha appena avuto inizio ma urge un'iniziazione alla vita che passa prima attraverso i fotogrammi altrui (le citazioni sono tante ma si fondono magicamente con il testo) e poi attraverso i propri corpi. In un gioco che sfida debolezze e paure, trasformandoli in altrettanti desideri e passioni, Louis Garrel, Eva Green e Michael Pitt (e qui Bertolucci conferma un eccezionale talento di scout) riescono a prendere personale possesso della sensualità e dell'erotismo che lo schermo cinematografico emana per loro. Inutile quindi ogni divisione, ogni separatezza. I corpi poco più che adolescenziali s'intrecciano senza quel pudore borghese che la storia ha - magari per un po' - sospeso; anche se la versione ultima del film risulta assai più casta del romanzo. E la conoscenza tattile di cosce, labbra, glutei, seni, appare, com'è, complementare rispetto all'esperienza visiva dello schermo. Va da sé che The dreamers è cinema poesia come lo era L'assedio o i primi film di Bertolucci, e che esercita su tutti un misterioso potere di seduzione capace di piegare anche i più riottosi. Una colonna sonora preziosa (dai Doors a Jimi Hendrix) fa da contraltare a clip di film che hanno fatto la storia del cinema. |
la Repubblica (2/9/2003) Roberto Nepoti |
Una storia di formazione impeccabilmente raccontata. Una bella sequenza finale di scontri tra manifestanti e polizia (chi si aspettava di meno, dal regista di "Novecento"?). Quando i titoli di coda cominciano a scorrere sulle note della celebre canzone di Edith Piaf ("non, rien de rien..."), però, ti viene da chiederti: che cosa non rimpiange, Bernardo Bertolucci, di quel che ci ha appena fatto vedere? In realtà, "The Dreamers" è precisamente il tipo di film che gronda rimpianti; ma pieno di disincanto quanto povero di utopia, quasi un "gruppo di famiglia in un interno" quale avrebbe potuto realizzare, un tempo, Luchino Visconti. Al primo posto c'è la nostalgia della giovinezza, incarnata in quei corpi (improbabilmente) perfetti che la cinepresa accarezza dalla prima inquadratura all'ultima. Non é certo il rimpianto della generazione senza padri predicata dall'ideologia di allora; al padre anzi (un poeta, come Attilio Bertolucci) il film rimprovera di non assumere l'autorità del proprio ruolo, abbandonando i figli in balìa di se stessi (la vera figura paterna, a conti fatti, é il giovane americano); ed esprime, in ciò, la nostalgia di una mancanza. Ancor più evidente, infine, c'è la nostalgia del cinema com'era, dei vecchi tempi della Cinémathèque Langlois, di tanti titoli gloriosi, da "Venere bionda" alla "Regina Cristina", da "Fino all'ultimo respiro" a "Mouchette". Pur ammirando la bella forma del film apolide (autore italiano, ambientazione parigina, dialoghi in inglese), si fa strada poco a poco una sensazione d'imbarazzo; come quando, al termine di una cena con amici, qualcuno tira fuori la chitarra e comincia a intonare le canzoni di Battisti. Quel che manca, in tutto ciò, è la nostalgia dell'immaginazione al potere (di quel '68 che Bertolucci voleva contribuire a sottrarre all'oblio e che, invece, fa entrare dalla finestra solo ai tempi supplementari. |
La Stampa (2/9/2003) Lietta Tornabuoni |
Il Sessantotto è altrove, è un sentimento, è l’aria di un periodo di grandi speranze giovanili, è la certezza di un mondo che sarebbe mutato anche per merito dei ragazzi che volevano cambiarlo: ma «The Dreamers - I sognatori» di Bernardo Bertolucci, presentato fuori concorso alla Mostra, è un film su tre adolescenti che, in autoreclusione passionale in un appartamento parigino, fanno l’amore. Soltanto all’inizio e alla fine ci sono due manifestazioni. La prima rievoca la protesta collettiva e alla fine vittoriosa del 1968 contro il licenziamento, voluto dal ministro Malraux, di Henry Langlois, creatore e direttore della Cinematheque di Parigi, santuario e università di registi e cinefili internazionali: il film mescola a perfezione documenti visivi d’epoca (con Truffant, Godard, Belmondo, Malle, Jean-Pierre Leaud) e lo stesso Leaud che un quarto di secolo dopo, nella ricostruzione reclama un volantino tra grida e tumulti di ragazzi e cariche della polizia. La manifestazione conclusiva è molto più dura: il corteo che scandisce «dans la rue» (scendete in strada) e «questo è solo l’inizio», sassi, incendi, automobili rovesciate, fumo, cariche poliziesche, bottiglie molotov, un ragazzo americano che quasi piangendo fa professione di non-violenza, «questo è sbagliato, è violento, sono loro che fanno questo e non noi, noi facciamo l’amore e il cinema, è sbagliato», ma gli amici francesi non gli danno retta, corrono avanti all’attacco con le loro molotov, e lui volta le spalle alla manifestazione, se ne va. In rari momenti, chiusi nell’appartamento, parlano di Mao («la rivoluzione non è un pranzo di gala»), dell’unanimità sospetta del Libretto Rosso delle Guardie Rosse. Ma sono appena parentesi. Nella storia, tratta dal romanzo di Gilbert Adair, un ragazzo americano a Parigi conosce alla Cinématheque due ragazzi francesi, sorella e fratello gemelli, che lo ospitano in casa durante un’assenza dei genitori; tutti e tre cinefili appassionati, fanno giochi di cinema e di eros, si amano esultano e soffrono, invadono l’appartamento borghese con i loro corpi belli, giovani e nudi, sono gelosi, si conoscono psicologicamente e carnalmente, crescono, diventano adulti o quasi. I giochi di cinema, molto divertenti e raffinati, comprendono citazioni da vecchi film, alla maniera già sperimentata da Alain Resnais in «Mon oncle d’Amerique». Quiz: chi da fastidio a chi ballando, in quale film? Ed ecco Fred Astaire in «Cappello a cilindro» che, danzando, disturba il sonno di Ginger Rogers al piano di sotto. Greta Garbo esplora una stanza che vuole ricordare per sempre ne «La regina Cristina»; Jean Seberg vende il «New York Herald Tribune» sugli Champs Elysees nel primo film di Godard, «Fino all’ultimo respiro»; il ragazzo francese si masturba davanti ad una fotografia di Marlene Dietrich che riappare in «Venere bionda», i mostri di «Freaks» ripetono momento di allegria («È uno dei nostri!») e «Scarface» ritorna vincitore. I giochi dell’eros, nell’appartamento vasto e labirintico, scherzosi e profondi, stabiliscono un’intimità naturale. Quando il ragazzo americano possiede la ragazza francese da lui creduta molto esperta, si accorge che è invece vergine: e il sangue dell’imene, stropicciato sulle facce dei due giovani amanti, è come una bandiera. I due gemelli si amano, sulla loro congiunzione manca soltanto il coito, dormono e vivono insieme, sono come un’unica persona nel legame che garantisce loro un’infanzia perenne («Dimmi che è per sempre», è l’implorazione di lei rivolta al fratello). Nella casa, di giorno in giorno, l’atmosfera si fa un poco soffocante, quasi non escono più, la ragazza è tentata dal suicidio, i genitori che tornano una sera li trovano insieme nudi e addormentati che ripartono lasciando un assegno: finché un sasso non infrange un vetro, i tre scendono in strada, si separano, e alla conclusione del film Edith Piaf canta «Je ne regrette rien», non rimpiango nulla, la nostalgia della giovinezza è una compagna amata. In «The Dreamers», interpretato da attori giovanissimi ben scelti e magnificamente diretti (Michael Pitt, Eva Green, Louis Garrel), Bertolucci ha realizzato con grande maestria le scene più difficili al cinema, quelle di sesso e quelle di manifestazioni; e ha fatto un film pieno di vitalità, energia e freschezza, bellissimo. |
Corriere della Sera (2/9/2003) Tullio Kezich |
La vita è tutto un film per «The Dreamers» di Bertolucci. Ovvero i ventenni del ’68, oggi ultracinquantenni, l’ultima generazione stregata dal fascino della sala cinematografica. Isabelle si considera nata sugli Champs Elysées a strillare l’Herald Tribune come Jean Seberg in Fino all’ultimo respiro; poi replicando la Garbo di «La regina Cristina» accarezza i mobili della camera da letto; e, quando è sopraffatta dalla tentazione del suicidio, le balenano le immagini del finale di Mouchette. Forse mai come in questa occasione il cinema ha celebrato se stesso in quanto mito centrale del XX secolo. Isabelle imita le girls intorno a Marlene in Venere bionda, il suo gemello Theo sconta una penitenza del cinequiz masturbandosi con una foto di «L’angelo azzurro»; e per aver sbagliato una risposta su Scarface l’innocente americano Matthew deve fare all’amore con Isabelle mentre Theo si cucina le uova buttando un occhio sull’amplesso. Poi si scopre che la ragazza era vergine e la vera frittata è quella. The Dreamers completa la trilogia parigina iniziata con «Il conformista» (la Ville Lumière come rifugio illusorio e nido di spie negli anni ’30) e proseguita con «Ultimo tango a Parigi» (gli sfondi della disperazione esistenzialista). Collocato cronologicamente in mezzo agli altri due, il film è un romanzo di crescita. Però fra i personaggi solo l’ospite straniero uscirà intero dal cerchio malato dei sogni e dei giochi, degli altri due non conosciamo la sorte e sappiamo che non cresceranno mai. In apparenza al servizio di una storia scritta e riscritta dal solo Gilbert Adair, Bertolucci ha fatto uno dei suoi film più personali e incantevoli. Figlio di un poeta come i gemelli quasi incestuosi (l’accorato e perplesso Robin Renucci è un padre che rappresenta al meglio la generazione dei «matusa»), il regista alterna metafore e finzioni, discussioni sul Vietnam e su Mao, scontri su chi è più grande fra Keaton e Chaplin, provocazioni e morbosità. Scrive Jean-Claude Carrière nel suo libro «Les années d’utopie»: «L’idea che il godimento sessuale dell’individuo fosse una pratica rivoluzionaria fu l’illusione maggiore di quel mese di primavera...». Questa segreta convinzione è il propellente che fa scendere sulle barricate i sequestrati del sesso; e Bertolucci ci ha tanto assuefatto a vedere la vita come specchio del cinema che ci aspetteremmo, in contrappunto a Matthew che perde Isabelle, l’immagine di Baptiste alla vana rincorsa di Garance nel carnevale di «Les enfants du Paradis». Vuoi vedere che The Dreamers, sposando sesso e politica in chiave di «amour du cinéma», è invece un film sull’amore dell’amore? |
l'Unità (2/9/2003) Alberto Crespi |
VENEZIA. Folla delle grandi occasioni, decine di persone sedute per terra: atmosfera da ‘68. Sì, parliamo di The Dreamers - I sognatori, attesissimo film di Bernardo Bertolucci passato per la stampa alle 22 di domenica in un’atmosfera da curva Sud (tifo pro e tifo contro, senza mezzi termini). Ma forse parliamo della mostra tutta, perché qui al Lido si respira aria di sommossa: gli «accrediti cinema» (culturali, associazioni, studenti) sono in rivolta, perché non riescono a vedere neanche un film grazie alla delirante organizzazione. E tutto questo si lega a The Dreamers, che visto qui a Venezia fa l’effetto di un film di fantascienza, di un sogno che non si è compiuto, di un’utopia che si è scontrata con l’imbecillità del mondo. The Dreamers è un film in cui le citazioni si fanno stile, poetica. Per cui, elenchiamone alcune: sparse nella trama, Bertolucci ci mostra scene di Shock Corridor di Fuller, Fino all’ultimo respiro e Bande à part di Godard, The Cameraman di Keaton, Cappello a cilindro con Fred Astaire, Freaks di Browning, Venere bionda di Sternberg (la famosa scena di Marlene vestita da scimmione) e tanti altri, per finire con Mouchette di Bresson, la più inaspettata ed emozionante di tutte. In colonna sonora, invece, ci sono Jimi Hendrix (Third Stone From the Sun, fin dai titoli di testa), i Doors, Janis Joplin, Bob Dylan e i Grateful Dead, mescolati a Michel Polnareff, Charles Trenet (La mer, ovviamente), Nino Ferrer e Françoise Hardy (Tous les garçons et les filles). Come vedete, Bertolucci mescola i suoi due mondi di riferimento cinefilo, culturale, sentimentale, politico: l’America e la Francia. E li mescola con la propria vita, identificandosi sia in Matthew, ragazzo americano in vacanza a Parigi nei giorni roventi del maggio ‘68 e assiduo frequentatore della Cinémathèque (una vacanza di formazione che Bernardo fece nel ‘60, in piena esplosione Nouvelle Vague), sia con i gemelli francesi Theo e Isabelle, come lui figli di un poeta, borghesi e innamorati della rivoluzione. Matthew è l’America ingenua e aperta al nuovo, Theo e Isabelle sono l’Europa colta, borghese e un po’ corrotta, chiusa nei propri giochi intellettuali e tarda ad accorgersi di ciò che sta avvenendo sulle barricate che già bloccano i boulevard. Chiusi in un appartamento, reciprocamente attratti, i tre ragazzi ricreano una situazione che (per citazione, stavolta, «segreta»: Bertolucci ipse dixit) fonde il triangolo di Jules et Jim con la clausura auto-distruttiva di Ultimo tango a Parigi. Il sesso diventa strumento di comunicazione, ma sempre vissuto in maniera mediata (ancora una volta, cinefila: spudorata, persino fastidiosa, e pure a suo modo candida e disarmante la scena in cui Theo, su ordine di Isabelle, si masturba davanti alla foto di Marlene Dietrich nell’Angelo azzurro). Ma se gli amanti di Truffaut, così come quelli del Bertolucci di trent’anni fa, trovavano nella morte l’unica via d’uscita dalle proprie ossessioni, stavolta c’è una speranza. O forse un riproporsi dell’utopia. Sta di fatto che anche Isabelle, ispirata dalla Mouchette di Bresson, medita il suicidio di gruppo: ma poi un sasso, scagliato dalla via, rompe il vetro di una finestra e i tre giovani vengono trascinati «dans la rue», nel cuore della rivolta. Il film termina con le vie di Parigi che bruciano, per le molotov scagliate contro i «flics», e con la chitarra di Jimi Hendrix che risale, violenta, in colonna sonora. I detrattori del film avranno gioco facile nel dire che i sessantottini di Bertolucci sono immaturi, pensano solo al sesso e al cinema, non sanno nulla della vita. Si saranno così fermati alla prima lettura di The Dreamers, opera apparentemente semplice e in realtà complessa, stratificata. Il primo strato è il ‘68 come ce l’hanno raccontato i suoi protagonisti più ingenui: rivolta spensierata, liberazione dei sensi, sesso droga & rock’n’roll. Queste cose, nel film, ci sono: ovviamente incrociate con il cinema che per Bertolucci rimane l’arte più rivoluzionaria, che libera i corpi e scoperchia le menti. Ma il film è un modo di confrontarsi con gli aspetti mitici del ‘68, di valutare la loro tenuta nel tempo. Bertolucci sa benissimo che quel cinema, quella musica, quella carica creativa non ci sono più: lo sa talmente bene che non prova nemmeno a «rifare» Godard o i classici hollywoodiani, ma li inserisce direttamente nel film, come dei tasselli di coscienza, come delle «madeleines» proustiane attraverso le quali i tre ragazzi si costruiscono una memoria «in progress», sono nostalgici di se stessi nel momento stesso in cui vivono (meravigliosa, in questo senso, la sequenza in cui giocano a rifare la scena di Bande à part in cui gli eroi di Godard corrono festosamente per i saloni del Louvre). La nostalgia è una chiave forte del film. Ma non è la nostalgia di chi oggi è vecchio e rimpiange la gioventù: è la nostalgia di chi allora sapeva già di vivere in un sogno destinato a scontrarsi con le dure leggi della realtà. In questo senso, The Dreamers dice una cosa molto chiara: il ‘68 non ha cambiato il mondo a livello di macrostrutture, di istituzioni politiche; ma l’ha profondamente cambiato nelle microstrutture, nei nostri comportamenti quotidiani, nel modo stesso di pensare e di affrontare la vita. Se ci «limitiamo» alla politica, il ‘68 è stato un fallimento e aveva ragione Pasolini, maestro e amico di Bertolucci, quando scriveva la sua provocatoria poesia «contro» gli studenti borghesi e «a favore» dei poliziotti proletari. Ma se ci allarghiamo all’esistenza, la dolorosa profezia di Pasolini non è più univoca, la forbice tra illusioni e conquiste si restringe. The Dreamers è l’opera di chi ha avuto un sogno, e oggi ne rievoca la fragilità senza dimenticarne la bellezza. Fra qualche giorno un altro sessantottino, Marco Bellocchio, verrà al Lido a raccontarci il delitto Moro, uno dei tanti incubi che hanno distrutto quel sogno. |
il Manifesto (10/10/2003) Mariuccia Ciotta |
C'era una volta Parigi, il Maggio francese, la Cinémathèque di Langlois, Antoine Doinel... una camera-car scorre eccitante sul lungo Senna e sospinge Matthew oltre il Pont d'Iéna verso un viaggio nel «sogno». Alice attraversa lo specchio. Il mondo al di là esiste ma non si vede, dislocato in una dimensione spazio-temporale altra, parco dei piaceri aperto a tutti. Il `68 di Bernardo Bertolucci non è una favola di trentacinque anni fa ma è lo svelamento del suo permanere, del suo essere qui, trauma visivo che trascina fuori da sé e obbliga a vedere. Il corpo del film è una diramazione a tre, Matthew (Michael Pitt) l'americano, e i gemelli francesi Isabelle (Eva Green) e Theo (Luis Garrel), stranieri in questo set che non combacia con i loro lineamenti di ragazzi contemporanei. Il gioco consisterà nello spezzare le linee che dividono i fotogrammi di Fino all'ultimo respiro, Cappello a cilindro, La regina Cristina, Venere Bionda dai boulevard invasi dai manifestanti e dall'interno, l'intimo, la pelle, il sesso. Come rioccupare questo spazio. Ognuno recita la sua parte, pulsione sessuale, cinefila, politica fino a «fondere» uno nell'altro. Quello di Bertolucci è un film «al lavoro». Piccoli spostamenti progressivi per saldare l'identità singola con l'esterno che urla. I due gemelli sono un'unica personalità scissa e la tanto «scandalosa» relazione tra i due che ha turbato Le Monde e Libération (in Usa il film esce vietato ai minori di 17 anni) è un incesto del senso, un gesto di ambiguità sessuale. Non c'è maschio né femmina che tenga dal '68 in poi e l'innamoramento di Bertolucci per l'andirivieni nudo dei ragazzi è più voglia di essere loro che con loro. Questa doppia macchina desiderante è il `68, irrefrenabile gioia di oltraggio verso il reale così com'è. E Matthew, insieme allo spettatore, si trova invischiato nella tela perversa dei gemelli, si dibatte ma poi sa che la liberazione è nella resa. Eva Green vestita solo di sé catalizza la sfida tra Theo e Matthew, per lei Clapton e Hendrix, Chaplin e Keaton - i due discutono su chi sia il più grande - sono tutti irrinunciabili. La coppia-più-uno che resta sola nell'appartamento dei genitori in viaggio di Theo e Isabelle evoca Jules e Jim ma finisce per essere più che una triade amorosa una coalizione, una banda. E proprio di Bande à part i ragazzi decidono di ripetere il record: raggiungere a perdifiato in nove minuti e quarantacinque secondi l'uscita del Louvre proprio come Claude Brasseur, Anna Karina e Sami Frey nel film di Godard del 1964. La corsa al rialzo cine-erotico stabilisce la forma di The Dreamers come contenitore sessantottino. Bertolucci ci restituisce il massimo godimento del mangiatore di pellicole con i quiz cinefili che Theo, Isabelle e Matthew si fanno, vaganti nell'appartamento, dentro una vasca da bagno schiumosa, nella stanza da letto. Ed ecco le clip in bianco e nero di Jean Seberg strillona sugli Champs Elisée, presenza espansa al massimo del piacere nelle punizioni erotiche per chi sbaglia il titolo. Inconfessabili pratiche basse davanti a Venus Blonde. Dov'è il `68? Torniamo indietro alla cena con i genitori dei gemelli, invitato Matthew, un po' in imbarazzo davanti al padre, prestigioso intellettuale esponente della sinistra ironico davanti alle «barricate» del Maggio. La rivoluzione è tra le pagine dei libri, nelle nostre teste, e via dicendo... Matthew è distratto perché ha scoperto la geometria singolare delle cose, la misura del suo accendino combacia con il naso di Isabelle, con la decorazione sulla tovaglia... Prezioso dettaglio contro il «quadro» complessivo, l'analisi che sbarra le strade all'interpretazione libera. Theo segna con ferocia la distanza tra la cecità (permanente) della sinistra storica e l'«opera totale» del `68. Quella che condurrà i tre a saldare carne e sangue del «sogno», del cinema, del sesso alla rivolta per le strade di Parigi. Paesaggi sonnambuli, piramidi di oggetti, cassette di legno... tutta la città è un campo di battaglia. I genitori sono tagliati fuori, solo al di qua dello schermo e quando - di passaggio da casa - vedranno il groviglio dei corpi sotto una tenda da campo - rifugio infantile di Theo, Isabelle e Matthew - rimarranno senza voce, letteralmente assenti. E si ritireranno in silenzio per riprendere il loro viaggio altrove. Lo shock del taglio netto - impossibile comunicare d'ora in poi con gli «adulti» - spinge Isabelle a morire, e il contrappunto emozionale è la caduta sensuale nell'erba della Mouchette di Bresson. Ma ecco il `68, revenant che assolve e trasforma i «giochi proibiti» nella più esaltante delle vittorie. I tre si precipitano giù dalle scale dopo che un magico sasso ha indicato ad Alice il «passaggio» per il mondo reale, per lo scontro adeguato al livello di violenza che ha cacciato Henri Langlois dalla Cinémathèque e dato lo start al massacro dei corpi e dei sogni di quegli (questi) anni. Davanti alla polizia schierata sullo sfondo scuro, Matthew si tira indietro - un distacco zen che ricalca l'estraneità dell'intellettuale francese - ma il «corpo a corpo» è necessario, la bomba molotov lanciata da Theo e Isabelle viaggia nella notte come una torcia segnaletica. La festa è qui. |
Film TV (14/10/2003) Emanuela Martini |
Scendere giù, quasi dalla cima del cielo, e cominciare a rimbalzare sulla terra. Cominciare a vivere, altrove, al centro del mondo. Parigi, maggio 1968: prima é il cinema che ti insegna la vita, attraverso i sogni che si materializzano sullo schermo della Cinémathéque, Fuller e Fred Astaire, Marlene e Greta, Scarface e Frank Tashlin. Poi, un giorno, il mondo sfonda lo schermo del cinema: entrano Truffaut, Godard, Chabrol e gli altri "giovani turchi" che difendono il nume protettore del cinema Henri Langlois, ed entra anche la "tua" vita, l'immaginazione materializzata nella giovinezza sinuosa di Isabelle e Théo, nei loro occhi sognanti, le cotte folgoranti, le esitazioni, i passi falsi, la voglia di conoscersi, di toccarsi, di sfidarsi, di non lasciarsi mai più. I sognatori di Bernardo Bertolucci sognano al chiuso, nelle prime file della sala cinematografica e in una bella casa svuotata di genitori per l'estate: si raccontano le insofferenze della borghesia illuminata francese (il padre dei due gemelli del film é poeta e per Théo «il fatto che Dio non esista non vuol dire che lui debba prenderne il posto») e della piccola borghesia americana, che con la tolleranza pacifista cerca di ritrovare l'innocenza perduta. Sognano e sanno che non sarà mai più così, più maturi dei loro corpi, più antichi delle immagini del "loro" cinema. Aperto dal dolly che discende dalla Tour Eiffel (e che si ripete in analoghi movimenti fuori dall'ascensore della casa dei ragazzi), accompagnato da una colonna sonora di "etimologica" precisione e di istantaneo calore emotivo (Jimi Hendrix ed Edith Piaf, i Doors e Francoise Hardy, El paso del Ebro e La mer), The Dreamers é girato con la leggerezza del cinema che negli Anni '60 scopriva il mondo, con le fughe di Bande à part e le ingenuità di Pierrot le fou e di Partner, con la voglia di sporcare lo schermo con un pezzo di autobiografia felice, di raccontare che l'unica via di uscita é il suicidio, come per Mouchette, ma che a volte, un colpo d'aria, un sogno che per un istante si materializza, ti può fermare. E la voglia di non dimenticare e di non rimpiangere niente. |
I link (torna su)
Sito ufficiale italiano - http://www.thedreamersilfilm.it/home.html |
Sito ufficiale inglese - http://www2.foxsearchlight.com/thedreamers/ |